Cucine da incubo: perché siamo disposti a chiudere un occhio sui ristoranti sporchi quando sono veraci?

Cucine da incubo: perché siamo disposti a chiudere un occhio sui ristoranti sporchi quando sono veraci?

“Mai entrare in cucina” è il monito di tutti i frequentatori di ristoranti, che siano sedicenti esperti gastronomi o clienti alla buona. Questa norma terroristica lascia intendere che, molto più spesso di quanto si creda, la cucina di un ristorante sia una terra di nessuno, e le norme igienico-sanitarie solo indicazioni facoltative appese al muro a mo’ di quadretto d’arredo e non di comandamento divino scolpito sulla pietra ollare.

La questione é talmente di dominio pubblico che Gordon Ramsay ci ha costruito la sua fortuna mediatica, presentandoci stagioni su stagioni di “Kitchen nightmares”.

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La trasposizione italiana con lo Yogy stellato Cannavacciuolo identifica questa saga delle cucine sporche e cattive con il format “Cucine da incubo”, spaziando da trattorie a ristoranti, da Nord a Sud, come a dire che da questa triste realtà non si salva proprio nessuno.

Per chi usa solo la razionalità asettica da fedele discepolo Asl, c’è un vademecum istituzionale che parla chiaro su cosa, come, quando.

Di recente, però, un nuovo studio rimescola le carte con una nuova variabile in causa, ossia il codice sociale che forma l’opinione del consumatore. Sembrerebbe, infatti, che i clienti di un locale siano di manica più larga sulle norme igienico sanitarie quando li percepiscono come ristoranti autentici, concedendo una gestione igienicamente più permissiva ai ristoranti veraci che seguono più le norme della tradizione che quelle dell’ispettore Asl.

E ora che qualcuno me lo mette nero su bianco su carta accademica intestata mi pare la scoperta dell’acqua calda.

Non perché banale, ma perché in realtà ero già di quest’idea pur non avendole dato una forma. Sì, perché quella di chiudere un occhio, e magari anche due, quando l’osteria è vera-verace è una cosa che mi è successa diverse volte.

Che fate voi, gastrofighetti o gourmand integerrimi, quando la condizione igienica è evidentemente un’optional, ma la cucina di qualitá? (No, non ho detto che sporco è buono, ho solo detto che se il cuoco non ha il cappellino in testa la pasta e fagioli può essere buona lo stesso, e pure assai.)

Siete mai capitati in un ristorante cinese old-school dove le anatre sono appese a testa in giù a temperatura ambiente per diverso tempo? Sapete che questo metodo di conservazione al limite della comprensione contemporanea é un’usanza culinaria lunga 4 millenni? Lasciamo perdere gli estremi orientali e torniamo a noi.

I due ciccioni, RomaI due ciccioni, cacio e pepeI due ciccioni, Roma

Qualche anno fa a Roma ho avuto la prova che il nuovo studio dice il vero: a Trastevere ho mangiato in una trattoria a metà strada tra un garage e una cucina. Pochi tavolini all’aperto, recensioni quotate appese ai muri e una cacio e pepe da urlo. Altro che cucina a vista, qui una specie di cucina da campo all’apparenza improvvisata sfornava primi piatti che si fanno ancora ricordare, senza luci al neon d’ordinanza, senza chef vestiti di tutto punto, in un angolo della capitale che sembrava dimenticato dal “divino” ispettore dell’Asl.

Vi assicuro, l’esperienza a “I due ciccioni” é stata gastronomicamente indimenticabile eppure fuori da ogni norma igienico sanitaria anche basilare.

É proprio in questi anfratti antropologici, agli antipodi della gastrofighetteria, che si celano le esperienze di palato che non dimenticherete. E non perché vi soffermerete a conteggiare le norme igieniche disattese, ma perché una volta tanto vi sembrerà di aver fatto un salto nel passato e sarete disposti a soprassedere sulla cucina da incubo.

Si vive bene e, a volte, si mangia meglio anche se non avete con cura certosina ispezionato il certificato Haccp. Le norme igienico sanitarie é buona norma che vengano rispettate soprattutto a tutela del cliente, ma per fortuna la cucina non é una scienza senz’anima, ma un’arte empirica che prevede, ad esempio, uno chef che cucina senza guanti in lattice.

Sacrilegio?

No, solo semplice realismo. Cosa che, se anche solo una volta avete messo piede in una cucina di ristorante, avrete di certo sperimentato.

Per tutti gli altri, invece, quelli che non riescono a godersi una cena senza avere rassicurazioni sanitarie assolute e tangibili, ispiratevi ai consigli dell’Aduc che vuole i voti appesi al ristorante, così da capire in anticipo che grado di pulizia aspettarsi.

[Crediti | Link: Oggi, Pubsonline, Quartz, Aduc. Immagini: mylifesatrip]