Piccola guida ai nuovi lavori della food economy

Piccola guida ai nuovi lavori della food economy

In procinto dell’Expo, l’Italia e soprattutto Milano si avviano ad essere un fortino di nuove occupazioni nel food. Chef, manager di food, buyer, selector. Consulenti alimentari. Laureati di Pollenzo. Scrittori di food. Food blogger di cucina. Camerieri sommelier maître di sala. Fotografi. Assaggiatori seriali. Gente.

La comunità tutta. Il settore agroalimentare tira lavoro. Lo scrivono su Food24 a proposito della fiera Fare Turismo e FareAgroalimentare, che si tiene dal 2 al 4 aprile.

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Uno dei punti forti del settore è questo: nuovo lavoro. Ma di che tipo? E’ vero che contratti di apprendistato nel food sono più pagati della media dei contratti di apprendistato: 800- 900 euro.

Ma non potrebbe essere altrimenti, visto che di solito sono occupazioni che prevedono corsi di studio professionalizzanti. A volte molto cari come può essere un corso di sommelier, a volte più basilari, come l’istituto alberghiero.

Si arriva sul lavoro che di solito si è già in grado di fare molto, e probabilmente basterebbero 6 mesi per imparare quel che resta. E invece si è bloccati per 3 anni – questo stando alle previsioni del #jobsact renziano – a 800-900 euro al mese. E’ vero non c’è scritto da nessuna parte che non si possa aumentare lo stipendio dell’apprendista negli anni. Ma forse dovrebbe essere scritto il contrario: si deve aumentare lo stipendio dell’apprendista nel giro di dei 3 anni.

Un altro problema delle occupazioni nel food legate al turismo è la stagionalità.

Si è chiamati a stagione, i contratti durano 3-5-6 mesi, si gira il mondo. Figo finché hai 27 anni. Pesante se a 32 anni ti vuoi fermare, fare una famiglia, giocare a briscola sempre nello stesso bar sport (se mai si dovesse avere il tempo).

Ragione per cui anche il food resta un settore in cui i cervelli in fuga ci sono eccome. Come Chantal Posse, chef piemontese in fuga nella Teahouse del Petersham Nurseries di Richmond, nel Regno Unito.

Chantal mi ha raccontato la sua storia quando ho visitato la tenuta – ristorante – giardino – associazione. E, a volere escludere la questione di genere – lei è UNA chef, professione, per usare termini à la page, a cooptazione  maschile – l’altro grosso problema che l’ha costretta alla fuga è proprio questo: “la chiamata a stagione”.

E’ soddisfatta del suo stipendio medio (preferisce non dire la cifra esatta), e lavora tantissimo.

Certo, non lavora in Italia, ma almeno è stabile: contributi pagati, ferie (poche), e continuità. Quest’ultima piace anche alla clientela, con cui si è stabilito un rapporto solido nel giro di un paio di anni. Possibilità di pagare un mutuo, costruirsi una famiglia. Ma anche solo sottoscrivere un abbonamento di 18 mesi con una compagnia telefonica nello stesso posto.

Quindi, se è vero che ci sono nuove occupazioni, è anche vero che sempre più sono a progetto, a partita Iva, a chiamata. Tanto lavoro, ma più frammentazione.

Che è l’altra faccia della flessibilità. Settore non (ancora, si spera) considerato dal #jobsact renziano.

[Crediti | Link: Food24]