Cose che ho trovato il coraggio di mangiare. E cose che non

Cose che ho trovato il coraggio di mangiare. E cose che non

Alla fine l’ho mangiata. Non credevo di farcela.

Nevroticamente in fila davanti al camion bar di un rubizzo venditore ungherese nel parco di Budapest, constatavo quanto coperto di sugo fosse il suo grembiulaccio. Riempiva i piatti di chi mi era davanti con cucchiaiate irregolari di gulasch, credo fosse gulash, diciamo uno stufato di verdura, carne e cipolla.

Quando è arrivato il mio turno, per una malefica combinazione di fattori che mi perseguita fin da bambina, ho indicato la pentola più lontana dalle sue mani sudate.

Non aveva ancora alzato quel coperchio. Per il momento.

Mi ha guardato con aria interrogativa, voleva dire Sei proprio sicura?. Ho annuito, ma sicura non lo ero manco per niente.

Infine la pietanza che avrebbe fatto sentire inadeguato anche Chef Rubio, e della quale ignoro tutt’oggi il nome originale, era nel mio piatto.

Davanti la lavagna con la spiegazione scritta in un inglese approssimativo ma efficace. Soup. Testicle. Pork.

Una zuppa fatta con i testicoli del maiale.

Prima ho serrato i denti, poi, per non fare brutte figure con i compagni di viaggio che mi guardavano sbigottiti, ho spalancato la bocca e introdotto uno per uno i fagioloni bianco-rosati.

Vedi alla voce: piccole sfide emozionanti vinte ma da non ripetere mai più.

Incoscienza o sacro fuoco culinario, è lo stesso impulso che mi ha fatto sgranocchiare teste d’anatra al ristorante cinese, dopo non aver rifiutato né l’insalata di medusa tanto meno la trippa d’agnello.

Stesso impulso che non mi ferma davanti a: cuore, lingua, coda o qualunque parte edibile dell’animale. Che mi conforta se ingerisco sa entredda, lo stomaco di pecora ripieno di sangue come lo cucinano in Sardegna. Ha un forte (eufemismo) sapore ferroso.

Il surströmming, specialità svedese a base di aringhe fermentate provoca un immediato senso di soffocamento e desiderio di fuga. Non conosco un modo diverso dal natto giapponese, ricavato dalla fermentazione dei fagioli di soia, per evocare l’odore di un paio di Superga, indossate senza calze, dopo una quarantina di chilometri di marcia.

Ma si vive una volta sola, e la cucina del mondo è così ricca.

Temo che reagirei con la stessa spacconeria davanti a un piatto brulicante di larve o a uno spiedino di tarantole. Perché da questi discorsi non possiamo tenere fuori l’entomofagia.

Penna sull’orecchio tipo piccolo scrivano fiorentino, sto per aggiungere le vostre voci alla mia to-eat-list:

voglio sapere qual è il cibo più improponibile che avete mangiato in vita vostra, il piatto dall’aspetto terrificante, la pietanza dall’odore spaventoso. Quella cosa che, già con la forchetta in mano, vi ha fatto pensare noncelafacciononcelafaccio.