A casa mia la domenica sera era il momento della pizza.
Come un rito collettivo che scandiva i tempi della settimana, la preparazione della pizza è stata per anni un momento famigliare condiviso. Il cerimoniale gastronomico della settimana prevedeva anche i toast del lunedì a pranzo, quando tornavo da scuola affamata e, con quello che c’era in frigo, ognuno costruiva il suo toast personalizzato, mangiando a scaglioni come una vera truppa d’assalto.
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Ogni nucleo famigliare, che sia formato dal single frigo-vuoto o dalla famiglia Mulino Bianco, ha i propri tempi e i propri piatti “fissi”. Non credo nelle regole buoniste della Casa nella prateria, e questa cosa di mangiare le stesse cose a cadenze regolari settimanali mi stava stretta.
Appena andata a vivere da sola ho bellamente scardinato tutti i riti gastronomici famigliari.
Per un lasso di tempo piuttosto consistente, una decina di anni, ho fervidamente sostenuto la mia libertà d’espressione culinaria, ricercando l’eclettico e annichilendo la costante alimentare (se non una tantum).
La mia domenica sera, archiviato il tanto odiato cerimoniale della pizza in casa, a lungo andare si è trasformata in un’altra costante alimentare: quella a tratti imbarazzante delle schifezze offerte in dote durante l’aperitivo. Da “calda” e famigliare abitudine alla pizza home made, la mia domenica sera si è risolta troppo spesso con wurstel crudi tendenti al rancido e patatine che non crocchiano più da ore.
Forse sono solo maturata, ma oggi ho fatto un passo indietro. Altro che orgogliosa suffragetta della settimana freak libera da vincoli e ricette imposte, oggi mi riscopro reazionaria e felice.
Ho capito che avere un appuntamento fisso con un piatto è una copertina di Linus che mi ha sempre riempito il cuore, e rimpiango con malinconica nostalgia la domenica sera della pizza in casa.
Le abitudini perpetrate riescono a far sentire il calore della consuetudine, ci cullano nel loro essere ancore di salvezza, e forse il concetto di comfort food è da rivedere anche in base alle tempistiche.
Nel DNA culinario di tutti noi c’è la ricerca della costante che plachi le ansie, soprattutto in una vita piena di imprevisti, lavori precari, governi ballerini, rivisitazioni gastronomiche fuorvianti, mode gourmet che durano una settimana. Tornare a casa il martedì e trovare un bel piatto di tortellini, come in tutte le altre cene del martedì sera a casa, costituisce una sicurezza che non ha paragoni, soprattutto se poi penso che domani devo ritirare una raccomandata di Equitalia alle Poste.
Alla faccia della sperimentazione, della fantasia estremizzata, dell’appiattimento travestito da rivoluzione, mangiare il pollo arrosto il sabato a pranzo mi mette di buonumore. E, cascasse il mondo, lo mangio.
Non è un limite autoimposto come potrebbe essere uno Xanax, ma una scelta consapevole di pace. Ognuno può crearsi la sua settimana o il suo mese perfetto, pensate alle centinaia di combinazioni che potrebbero uscirne…
Scommettete che avete anche voi qualche rito gastro-scramantico contro quest’era da spiantati.