Il vino naturale spiegato agli astemi. Con qualche consiglio per corromperli

Il vino naturale spiegato agli astemi. Con qualche consiglio per corromperli

Si è appena conclusa Sorgente del Vino, bella manifestazione dedicata ai vini naturali quest’anno  a Reggio Emilia, all’interno di un’ex Fonderia: un ambiente gradevole, per una volta! (Sto guardando te, La Terra Trema nelle segrete del Leoncavallo). Così non mi tocca nemmeno dire, parafrasando Oscar Wilde, che il vino convenzionale lo preferisco per il clima, quello naturale per la compagnia.

[Paragrafo introduttivo per i principianti, i super solutori passino oltre] “Vino naturale” è un termine vacuo, che non corrisponde a criteri precisi. Se, infatti, il vino può essere certificato biologico – con una legislazione piuttosto lasca, che non ha fatto contenti i piccoli produttori – o biodinamico, il discorso è più complesso. Semplificando all’osso (l’osso è lo stesso mio malleolo cui, alla pubblicazione di questo post, si attaccheranno coloro che avranno ritenuto la mia una forzatura), il vino naturale è quello prodotto lavorando in modo rispettoso dell’ambiente in vigna, e limitando le pratiche enologiche in cantina.

Andare a una fiera del vino naturale, e parlare con i produttori al banchetto (niente direttori commerciali in giacca e cravatta, qui), ricorda la memorabile scena de La Carica dei 101 in cui Rudy e il suo Dalmata Pongo osservano al parco coppie cane/padrone perfettamente somiglianti. Tanto spesso c’è comunanza tra un produttore e il suo vino, che un vero cliché del giornalismo enoico è la coppia di aggettivi dedicata alla combo:  “proprio come il suo vino, il tale è fiero e spigoloso (o misurato ed elegante o impetuoso e sincero)”.

Ho trascorso la giornata di assaggi con un sommelier in cerca di vini naturali “un po’ matti” per la sua carta. Al nostro ingresso, quando ho suggerito una tradizionale progressione bollicine -> bianchi -> rossi, lui mi ha guardato con l’insofferenza di chi considerava il mio un approccio superato, e ha indicato un ragazzo che stava al banchetto indossando una felpa con il cappuccio e pantaloni larghi. “Andiamo lì” “Il Primitivo mi pare un vino un po’ impegnativo per cominciare” “Da come si veste, secondo me fa vini pazzerelli”.

 [Alert: super semplificazione in arrivo] Le fissazioni di giornalisti, buyer e visitatori informati mutano come le stagioni. Se qualche anno fa l’attenzione era puntata su vitigni autoctoni  vs. quelli internazionali (meglio il Cirò calabrese, mettiamo, del Merlot francese), e poi molto si è parlato di conduzione biologica o biodinamica della vigna, quest’anno si parla moltissimo di solforosa.

La solforosa, te lo cerco io su Google, è un gas che viene usato come conservante. Impedisce al vino di ossidare, e alle uve non proprio perfette di marcire. Se si lavora con uve molto sane, l’uso di solforosa può essere molto limitato. Il che è un bene, perché è tossica (non fate quella faccia. Anche l’alcol).

Chiunque lavori cercando la qualità limita la solforosa al minimo, ma il dibattito è aperto sull’opportunità di non utilizzarla affatto. Sempre più produttori ne fanno a meno, con esiti difformi. A volte i vini sono perfetti. Altre volte accadono cose. I vini si ossidano (come il Primitivo pazzerello con la felpa), hanno un sentore marsalato e cambiano colore (mi è accaduto di bere uno chardonnay marròn piuttosto sconcertante). O assumono note strane, come quello per cui ho coniato il descrittore «bevanda alcolica fatta in prigione dentro un sacchetto utilizzando un calzino, acqua calda, mele, zucchero e pan grattato». Altre volte sanno di aceto, cosa che a me non dispiace affatto (ma questo dipende dal livello di perversione ) e che – dixit il sommelier – “li rende perfetti da abbinare al cibo” .

Nessuna di queste è ragione sufficiente per diffidare! Ogni tentativo di fotografare il mondo del vino naturale lo ritrae sfocato, per via del suo rapido movimento. La mancanza di una definizione precisa complica le cose. Ma spesso ci diciamo che, anche nel cibo, sarebbe utile non affidarsi  a certificazioni ed etichette a favore di un contatto più ravvicinato con il produttore. Nel vino siamo quasi costretti: una buona prassi è trovare un enotecaro di fiducia che faccia da sherpa.

Appendice, in breve: alcuni consigli per l’assaggio da Sorgente del Vino. Il livello di difficoltà per chi non sia avvezzo va da 1 (da servire alle feste dei bambini) a 4 (forse dovrete stare un po’ lì seduti a pensarci su).

Prosecco sur lie, Costadilà

Prezzo indicativo: 12€

La zona, e l’uva, è quella del Prosecco. Ma Costadilà fa un vino così personale che il nome non lo scrivono, così da non creare perplessità nel consumatore. Il vino è rifermentato in bottiglia, quindi è uno spumante, sì, ma dentro la bottiglia rimangono i lieviti, che danno una gradevole sensazione di viscosità che io chiamo “lingua di gattino” (vanamente cercherete il termine nel manuale AIS).

Livello di difficoltà: 1

Coste di Riavolo, San Fereolo

Prezzo indicativo: 16€

Il Coste di Riavolo, Gewurztraminer e Riesling, è l’unico vino bianco prodotto da Nicoletta Bocca, dolcettista. Alla degustazione un tale le ha detto: “Io proverei solo i rossi, a meno che lei non mi dica che questo bianco è imperdibile”. Senza scomporsi, lei ha risposto: “Le paio il tipo di persona che può dire una cosa del genere?” Quindi me ne assumo io la responsabilità: pieno di forza eppure gentile,  è ufficialmente un vino imperdibile.

Livello di difficoltà: 2

NM, Francesco Guccione Azienda Agricola

Prezzo indicativo: 20€

Barba sexy, vini accollati. Parrebbe l’eccezione alla regola del vino che somiglia al suo produttore, ma in realtà in comune c’è la dimostrazione del potenziale del terroir:  Francesco Guccione, siciliano biondo, e Nerello Mascalese, vitigno dell’Etna allevato nella zona di Palermo.

Livello di difficoltà: 2

Nosiola Fontanasanta, Azienda Agricola Elisabetta Foradori

Prezzo indicativo: 25€

Elisabetta Foradori, che è bella e austera come i suoi vini (era così, per farvi un esempio sul campo), fa il vino in anfora, come un tempo i nostri nonni (in senso lato) agli albori della civiltà, da qualche parte in Georgia. Elegante e aggraziato, è un buon punto di partenza per avvicinarsi agli orange wine, cioè i bianchi macerati a contatto le bucce.

Livello di difficoltà: 3

Serragghia bianco, Serragghia

Prezzo indicativo: 40€

Gabrio Bini fa i suoi Serragghia in anfora, sull’isola siciliana di Pantelleria: quello bianco è zibibbo vinificato secco e non dolce, sa di fiori e mandorle, di isola e di natura selvaggia. Quando il vino è buono, la freccia in etichetta è rivolta verso l’alto. Quando diventa aceto, Gabrio gira la freccia verso il basso, e vende l’aceto.

 

[Crediti | Immagine: Flickr/Sylvia Dalberg]