Di pasta madre ce n’è più d’una: come sono diventata una spacciatrice

Di pasta madre ce n’è più d’una: come sono diventata una spacciatrice

È sabato notte e piove da circa un millennio.

Sono in uno spazio occupato nella Brianza e appena fuori dall’area destinata al pogo selvaggio, mi accingo a sentire un gruppo che suona. Ho la mia birra in mano e sì, mi sto divertendo anche se ho preso tanta di quell’acqua da sentirmi le ossa umide e il fango mi arriva alle caviglie.

Mi si avvicina un losco individuo (non è vero, è un mio amico, ma scritto così è più avvincente): qualche piercing in faccia, una bottiglia di vino in mano e una toppa sul cappellino con su scritto A.C.A.B.

Essendo a conoscenza della mia smodata passione per la pizza e la panificazione, mi chiede se ho mai provato la pasta madre.

Rispondo di no.

«Dovresti provare» mi dice lui, che di mestiere fa il cuoco.

Accetto, ci diamo un appuntamento per il giorno dopo, all’ora dell’aperitivo, dove avviene lo scambio. Mi fornisce le informazioni base per la gestione della pasta madre e mi fa omaggio di un bel barattolo pieno di questo magico tesoro, ma distratta dalla mondanità e dalle chiacchiere, non presto molta attenzione ad un suggerimento fondamentale.

Cioè che la pasta madre deve essere conservata in frigorifero.

Il giorno dopo infatti, al mio risveglio, mi sono sentita un po’ come Jesse Pinkman in Breaking Bad-Relazioni collaterali, quando decide di sciogliere il corpo di Emilio nell’acido, senza seguire pedissequamente le preziose indicazioni di Walter White, suo ex-professore di chimica – nonché socio e cuoco provetto di metanfetamine – e fa un gran casino.

La mia pasta madre infatti, lasciata fuori dal frigorifero, è letteralmente esplosa. Cerco di correre ai ripari. Mi fiondo davanti al pc e cerco informazioni, rimedi e cure che possano salvare la situazione e dentro di me non posso fare a meno di pensare che, dopotutto, quella cosa bianca e gommosa è viva!

Scopro che per salvarla devo ravvivarla e così faccio, aggiungo la quantità di farina necessaria e impasto con la stessa ansia in corpo di un cuoco di cristalli di meth, ottenendo così il doppio della quantità da cui sono partita.

La divido in due e decido di fare la pizza con una parte e di conservare la seconda.

Sento la voce del mio amico nella testa che dice: «mi raccomando, se vedi che la pasta della pizza rimane un po’ nervosa prova a fare 50gr farina, 50 madre, 30 gr acqua, la prossima volta che la nutri…» e mi sale ulteriormente l’ansia.

Ho in mano una sorta di blob candido vivente, che si nutre, si moltiplica ed è addirittura in grado di provare emozioni (come il nervosismo!). Ma non mi faccio prendere dal panico! La pizza viene bene e io sono soddisfatta di me.

Ma la storia non finisce qui.

Dopo qualche giorno vedo la mia pasta madre che comincia a spegnersi nel suo barattolo: è forse tempo di nutrirla? Sì, e così faccio, raddoppiandone -ancora- il volume.

Non ho voglia di fare un’altra pizza e mangio pochissimo pane.

Ecco allora che mi torna in mente quello schifo di fungo-alga del thé che girava quando ero bambina. Veniva spacciata come un porta fortuna dalle magiche facoltà catartiche e benefiche. Si chiama Kombucha e andava conservata nel thé; bisognava parlarle, confidarle i segreti e darle da bere (del thé, ovviamente). Se si era brave la kombucha si moltiplicava generando un altro fungo – da regalare a un’altra amica -, in caso contrario si sarebbe trasformata in un sasso (!) portando sfortuna, acciacchi e rogne di vario tipo. O almeno, così si diceva!

Un po’ come la Kombucha della mia infanzia, la pasta madre esige cure ed attenzione, ma pone un grosso dilemma: la nutro e la faccio proliferare o la trascuro e la faccio morire?

Nel primo caso, come per la Kombucha, ciò implica l’inevitabile conseguenza di dover affidare il frutto del proprio amore – tra la pasta madre e noi – a qualcun altro. Ecco allora, che da semplici panificatori, si diventa spacciatori.

Questo week end sono andata a un concerto e ho cominciato a tessere le lodi della pasta madre e prometterne una parte, a tutti quelli che incontravo.

«Ah, arrivi tardi… me l’ha già promessa LUI» dicevano, indicando quel mio stesso amico che mi ha fatto entrare nel tunnel della pasta madre… i nostri occhi si sono incrociati e ho accolto la sfida.

Il mio futuro, sarà un futuro di guerra! Sarà il mattarello, l’astuzia e la spietatezza a determinare chi spaccia a chi, in una vera e propria faida territoriale all’ultimo granello di farina!

[Crediti | Link: Wikipedia. Immagine: Flickr/TorinoBikeFriend]