Chiari segnali che un posto è all’altezza: i piatti spia

Chiari segnali che un posto è all’altezza: i piatti spia

Ogni settimana, spendo alcuni euro per leggere sull’iPad una nuova guida. Gli hamburger di Londra, i vini Slow, le cose buone, Roma, i vinaini di Firenze, le pasticcerie di Parigi. Ogni settimana, quasi ogni giorno della settimana, benedico la spesa (pare che alle guide i miei euro non bastino, ma vabbe’).

Questo mese, oltre a benedire Londra di Time Out, stavo per fare la ola. E’ gratis, e dal mare magnum carnoso-enfatico sulla città suddetta emergeva solitario un eccellente consiglio, Honest Burger a Soho. 

È estate, e si esce di più la sera. Oltre alle guide esistono altri modi per scoprire come si mangia nel pizza-e-champagne appena aperto o nel fast-food del fritto buono raccomandato dai più vertiginosamente competenti tra i miei amici.

Andarci. E prima di ogni altra cosa fare la prova del piatto spia.

Già, ma quale? Vi dico i miei poi voi fate altrettanto.

Ristorante di pesce. Oggi tra operazioni di re-branding, e tentativi di rendersi simpatici e patinati e pop, vedi fast-food della mazzancolla, interpretare i segnali lanciati da un ristorante di pesce non è così immediato. Ma nessuno può mentire alla prova del fritto. Vero, una digestione da danni ambientali impedisce di inseguire i tuoi sogni al colesterolo ma non è obbligatorio mangiarlo tutto. Benchmark di riferimento: il fritto della Capanna di Eraclio a Codigoro, vicino Ferrara.

Bar. Cambiamo radicalmente scena: il bar si misura dall’espresso. Beviamone un sorso senza zucchero, se non è buono quello, il resto come volete che sia.

Gelateria. Il primo cono in una nuova gelateria è solo e sempre alla crema. Se certe gelaterie aggiungono al gusto crema il loro nome mica è per caso.

Cucina romana. Atteniamoci ai dati di fatto: non esiste cucina romana senza cacio e pepe. Il termine di paragone resta quella mantecata a freddo di Felice a Testaccio, e credetemi, non è (solo) un cliché.

Cucina romana kosher. Così come non esiste cucina romano-kosher senza carciofi alla giudia. E siccome nel ghetto abbondano i ristoranti turistici, prima si prova quello di Nonna Betta, Via del Portico d’Ottavia, poi si giudicano gli altri.

Hamburgheria. Così come i colori del semaforo non sono suggerimenti discrezionali, in una hamburgheria iniziare dalle patate fritte significa rispettare le regole. Sono tagliate a mano, croccanti, poco unte e non ammazzate dal sale? Le possibilità che tutto il resto si all’altezza aumentano.

Sushi. Da amante del cotto che ogni tanto mangia sushi, il classico sushipirla insomma, faccio il test del sashimi per capire la freschezza del pesce. Sbaglio?

Brunch. Se prendete seriamente il brunch domenicale perché vi piacciono le favole o perché lo trovate semplicemente comodo, il piatto spia sono le uova in camicia su muffin all’inglese con salsa benedettina, anche detta olandese. Almeno salsa e uova richiedono una certa perizia.

Pizza. La margherita come prima scelta in una nuova pizzeria più che un’opzione è legge.

Ristorante cinese. Mentre prima di avventurarsi in un ristorante cinese di Milano, buonsenso vuole che si siano provati i ravioli al vapore di Lon Fon, in via Lazzaretto, sobrio e poco orientaleggiante, con una cucina autentica e molto curata.

Questi i primi piatti spia che mi sono venuti in mente. Ora concentriamoci su di voi, siamo tutti ansiosi di conoscere la variabile lettori. Aggiungete altre categorie, se credete.

[Crediti | Link: Time Out, immagine: Luxirare]