Il meglio del peggio: KitKat al wasabi e altre libertà negate a noi italiani

Il meglio del peggio: KitKat al wasabi e altre libertà negate a noi italiani

Da Vinci’s Code Demons non è una serie da delirio, ma nella prima puntata della nuova stagione Leonardo ha salvato la vita a Lorenzo de’ Medici con una trasfusione (tra l’altro è sicuramente un falso storico). Embé? Le trasfusioni erano solo un’ipotesi nel xv secolo e la chiesa non era proprio favorevole, quindi nessuno le praticava. A volte il timore reverenziale gioca brutti scherzi. Provo a spiegarvi perché secondo me questo c’entra con il KitKat.

[related_posts]

Due giorni fa mi sono messa in testa di inventariare il junk food che ha fatto flop in Italia e nelle miei ricerche ho trovato un sacco di cibi folli, di multinazionali che aborro, che con il mercato italiano non ci hanno proprio provato. Perché?

L’invidia ha cominciato a lampeggiarmi nel cervello come una spia antincendio, costringendo la mia disciplinatissima coscienza di consumatrice consapevole, biologica, raffinata a desiderare un KitKat al wasabi almeno quanto desidero un invito a cena al Noma di Copenaghen.

Eh già, avete sentito bene: KitKat al wasabi, e se non vi bastasse fatevi anche quello al gusto di sandwich ai fagioli rossi.

kitkat fagioli rossi

Dico: “Fatevi un KitKat al wasabi” se siete disposti a ordinarlo online su un sito giapponese, perché così, a naso, immagino che non arriverà in Italia nel breve periodo. Come non è arrivata la mitica Cherry Coke, la meno conosciuta Vanilla Coke e la loro sublimazione nella Black Cherry Vanilla.

coca cola alla vaniglia

Per non parlare della Fanta che ovviamente segue la sorellina maggiore Coca Cola con gusti all’uva, al mango e passion fruit, al kiwi e fragola. Li avete mai visti? Poi un colpo al cuore che mi ha steso: esiste la Pepsi blu.

pepsi blue

Quando cominci non ti fermeresti più e finisce che ti imbatti anche nel Mars da bere (non scherzo) e nelle caramelle giapponesi Kracie Popin’ Cookin’: pezzetti di caramelle a forma di alga, riso, salmone per comporre il tuo finto sushi gommoso o a forma di pane, formaggio e insalata per farti l’hamburger. Io ordino quella per fare un bento box creativo, mi sono sempre piaciuti i bento box.

kracie 'popin cooking

Sappiatelo: nel mondo esiste una varietà di junk food che snobba le scrivanie dei nostri uffici e le serate bulimiche davanti alla tivvù. Ripeto: “Perché?”. C’entra con il fatto che Starbucks esiste in tutto il mondo e non in Italia? Che la Dr Pepper (l’anti-coca cola americana) abbia tentato con il mercato italiano a fine anni ’80 e sia stata subito ritirata? Non ho una risposta, ma faccio una supposizione.

Sarà mica che il fatto di essere la patria in cui nasce e si produce una buona fetta del cibo di eccellenza consumato nel mondo ci abbia resi un po’ miopi? Sarà mica che abbiamo sviluppato un po’ di timore reverenziale nei confronti del cibo e non riusciamo più a giocarci? Perché il KitKat al wasabi o le caramelle-puzzle giapponese non si mangiano per fame, né perché si ha voglia di qualcosa di buono: si mangiano perché è divertente.

Ecco, questa storia che da noi non arrivano un sacco di porcherie mi sembra una limitazione della libertà di fare schifo, in pace, sulla poltrona di casa mia. Magari dopo aver cenato con una bistecca di Chianina e un’insalata di verdura bio. Perché il mondo postmoderno in cui viviamo è così: devi sapere, ma poi sei libero di scegliere.

[Foto crediti: paella de Kimchi, whiterabbitjapan, wikipedia, amazon]