Perché Slow Food ha un serio problema di classe dirigente

Il complesso di colpa da parte di McDonald’s nei confronti di Slow Food è cosa nota e universalmente riconosciuta. Anni a rovinarsi il fegato, mai una volta buoni, puliti e giusti, che ne sapete voi di cosa si prova a essere per tutta la vita Brufolazzi, l’adolescente zimbello di Tapparella, la canzone degli Elio, che nessuno invitava alle feste?

Per decenni dal  che McDonald’s abbia avuto per anni un com in questi anni uno scapolo in possesso di un solido patrimonio debba essere in cerca di moglie

Aiuto. Fate qualcosa. McDonald’s ha alzato la testa, da reietto, da vero “nigger of the food”, ora pretende di essere preso sul serio, di venire accomunato a Ikea, di essere amato.

E Slow Food che in passato ha fatto cose impensabili, complice la debolezza dirigenziale (dopo Carlo Petrini il nulla), non coglie, non capisce.
Continua a ripetere che la qualità di McDonald’s fa schifo confidando nell’atteggiamento di sottomissione che la multinazionale ha avuto per anni in Italia cercando in ogni modo di ingraziarsi Petrini &Co. Ma ora Masi ha cambiato strategia, e approfitta della debolezza che la filosofia di Slow Food mostra come mai prima, complice la crisi internazionale (“la filososfia di Petrini porta alla nicchia, al cibo buono per soli ricchi” si permette di dire Masi) per umiliare ripetutamente “l’avversario”.
McDonald’s non ci sta. La multinazionale USA ha ufficialmente stracciato i panni da reietta del junk food e ora veste solo di sgargiante baldanza. Non ci credete? Credeteci: dopo aver pubblicamente umiliato Slow Food, l’amministratore delegato di McDonald’s Italia, Roberto Masi, ci ha preso gusto ed sgancia una nuova bomba destinata a far discutere: “La carne che si consuma da noi è la stessa che si vende nei supermercati frequentati dalla buona borghesia milanese e dai radical chic”.

Nell’intervista, pubblicata sul Corriere.it, Masi affronta a muso duro le più note argomentazioni storicamente opposte al modello McDonald’s, ribaltandole una ad una.

  • Pessima qualità della carne?la trova da noi così come nella stragrande maggioranza dei ristoranti italiani”;
  • Brand usurato?siamo come Ikea, Zara, i discount. Per questo vogliamo essere amati, vogliamo che un italiano almeno una volta l’anno passi da noi”;
  • Lavoro dequalificante?”Da noi non esiste un solo posto di lavoro irregolare mentre leggo le denunce della Cgil secondo le quali nell’alberghiero in Italia il 30% del lavoro è in nero. Chi sfrutta chi?
  • McDonald’s favorisce l’obesità?Noi abbiamo appena il 2% del mercato e le pare possibile che sia colpa nostra?

Non vogliamo perderci in uno sterile dibattito su differenze e similitudini fra la carne usata da McDonald’s e la carne in vendita nelle macellerie radical chic o quella usata e nella maggior parte dei ristoranti italiani.

Piuttosto, oltre all’evidente tentativo di riabilitare un marchio diventato simbolo del junk food per antonomasia, quello che più stupisce noi gastrofanatici è la metamorfosi comunicativa manifestata negli ultimi mesi dai vertici dell’azienda USA: un tempo condiscendenti, ora più che mai arroganti.

La sfrontatezza della nuova McDonald’s è superata solo dall’indolenza della sua nemesi storica, Slow Food. Sorprende come l’associazione che più di ogni altra dovrebbe alzare la voce nella discussione alimentare in Italia (non ci stancheremo mai di ricordare come Slow Food sia nata proprio in reazione all’apertura del primo McDonald’s a Roma nel 1986), appaia oggi come priva di una qualsiasi voce in capitolo.

Incapace di reagire alle umiliazioni subite dell’avversario – che incalza senza pietà, forte di una strategia comunicativa più pragmatica – Slow Food si dissolve nella sua stessa filosofia, fiaccata dall’ignavia della sua dirigenza (dopo Carlin Petrini, il nulla), dalla crisi economica internazionale e da un mancato di rinnovamento concettuale. In quel di Bra, sede originaria di Slow Food, continuano a sottolineare la scarsa qualità del cibo di McDonald’s, ripetendoci (e ripetendosi) la paternale come un mantra di cui auto-convincersi.

Be’, Slow Food, sapete che c’è? c’è che gli yankee dell’hamburger si sono rotti di “continuare a fare la figura della multinazionale-diavolo” e dopo anni di sottomissione nei confronti di quel gastrofighettismo cui Slow Food stessa ha dato significativo contributo, ora si permettono di alzare la cresta: “la filosofia di Petrini porta alla nicchia, al cibo buono per soli ricchi e fa restare l’Italia fanalino di coda dell’industria alimentare globale”.

Boom. Colpita. Affondata.

Avete presente la famosissima scena del film Rocky, dove lo stallone italiano massacra di cazzotti il quarto di manzo appeso in cella frigorifera? Ecco, quella scena è una perfetta metafora dell’attuale scontro fra McDonald’s e Slow Food. Provate un po’ ad indovinare chi rappresenta chi.