È cosa nota – e voi lettori ne siete la prova quotidiana – che per ogni piatto tipico italiano esistono tante varianti quanti cuochi, amatoriali e non. Quelle che per un inglese, un tedesco, persino un francese sarebbero le classiche questioni di lana caprina, per noi diventano oggetto di discussioni che possono durare all’infinito, quando non di vere liti.
Ora, se mi promettete di mantenere i toni nei limiti della buona educazione, dopo il pesto sto per lanciarvi un altro osso: come si fanno veramente gli spaghetti con le vongole?
Vi do alcuni spunti in forma di domande (esistenziali): aspetto da voi le risposte.

Vongole veraci o lupini?
Come recita la Grande Enciclopedia Illustrata della Gastronomia di Marco Guarnaschelli Gotti, “col termine di vongola in genere si denomina la Venus gallina”: conchiglia di forma subtriangolare, percorsa da rigature concentriche, misura 3-4 cm ed è quella che comunemente si chiama anche lupino.
Considerata non troppo pregiata, per via delle dimensioni del mollusco evidentemente contenute, ha comunque i suoi fan (tra i quali, la sottoscritta) che la trovano più saporita e meno sabbiosa della sua grande – in tutti i sensi – rivale: la vongola verace. Più nobile della “gallina” sin dal nome latino, Venerupis decussata, la signora tuttavia è spesso definita, poco carinamente, “cornuta”, per via dei sifoni che filtrano l’acqua e spuntano dalle valve. Naturalmente più grande e carnosa, la conchiglia ovale che racchiude il mollusco arriva a 5-6 cm.
Se un’eventuale gommosità è il più delle volte dovuta a una cottura prolungata, io a volte la trovo sciapa e, come già detto, eccessivamente sabbiosa. Ma so che, per qualcuno, sarà colpa mia, di dove le compro, di come le tratto: convincetemi che sbaglio e che la verace è davvero la migliore fra le due. Oppure, lasciatemi felice con i miei lupini.

Con la conchiglia o senza? La mia famiglia è onestamente divisa a metà. Due di noi si tuffano sul piatto di spaghetti alle vongole e si alternano con entusiasmo fra una forchettata e un guscio, da afferrare con le dita e succhiare avidamente. Gli altri due, conchiglia per conchiglia, estraggono pazientemente tutti i molluschi in punta di forchetta, poi cominciano a mangiare la pasta (fredda?).
Per non far torto a nessuno, mi sono rassegnata e quando preparo le vongole ne sguscio due terzi, lasciando le più belle e grandi nelle valve, per decorare i piatti di chi ama la versione integrale, mentre le porzioni degli schizzinosi, che non vogliono sporcarsi le mani, le servo libere da scarti.
Ora, indovinate io in che squadra sto.

Bianchi o rossi? Le alternative
Dovessi dirvi la mia ricetta degli spaghetti alle vongole, sarebbe aglio, olio, vongole e prezzemolo (a proposito, prezzemolo sì o no?). Come la servono nelle migliaia di ristoranti e trattorie da Napoli a Rimini, da Bari a Milano (sì, so cosa state per dire, ma guardate che a Milano c’è ottimo pesce servito da ottimi ristoranti!).
Però, la ricetta degli spaghetti alle vongole a qualcuno piace farla rossa. C’è chi “sporca” il fondo di cottura con una punta di concentrato, chi completa con pomodorini crudi, saltati o confit, e persino chi aggiunge le vongole a un sugo di pomodoro denso e corposo. Un’eresia?

Scolati o risottati?
La grande sfida di chiunque cucini la ricetta classica (vedi punto precedente) degli spaghetti alle vongole resta la fantomatica “cremina”: nonostante nella vita abbia letto di tutto, compreso il consiglio di legare il fondo con la farina, resto dell’idea che l’unico modo per ottenere una salsetta densa sia svolgere per metà la cottura della pasta, o almeno terminarla, nell’acqua delle vongole, prima di riunire i molluschi.
La tecnica è quella ormai arcinota come “risottatura” e i risultati sono sempre egregi.
Eppure, c’è ancora chi ama lo spaghetto “brodoso”, ovvero scolato, buttato in pentola, rimescolato e via. Quel che resta sul fondo del recipiente di servizio, e nei piatti, sarà un liquido dall’aspetto forse poco invitante, ma provate a farci scarpetta!

Pepe o peperoncino? Personalmente, adoro la spolverata generosa di pepe macinato grossolanamente sui piatti ancora fumanti. Altri preferiscono mettere il peperoncino sin dal soffritto. Il risultato è simile: la nota pungente dà una sferzata al piatto rendendolo, se possibile, ancora più perfetto.
Ma certo sarete d’accordo con me che pepe e peperoncino sono entrambi piccanti, ma lo sono in modo diverso: il primo più secco e speziato, il secondo a suo modo fresco e aromatico. Cosa sta meglio con la sapidità delle vongole? Ditemelo, su.

[related_posts]
E la pasta? Non sapevo se metterlo o no, questo dubbio, perché quando si comincia a parlare di pasta, qualità e formati ci si infila sempre in un ginepraio. Ma forse qualche riflessione si può fare. Partiamo dal presupposto che intendiamo usare solo pasta di alto livello.
Ma di che tipo?
Spaghetti, come nel titolo del post, vermicelli, linguine, spaghettoni? Ruvida o liscia? Secca o fresca, come tonnarelli e troccoli? Sempre di semola, o forse c’è qualcuno che alle vongole abbina tagliatelle e taglierini all’uovo?
Oppure (santo cielo!), la pasta corta?
E adesso, forza: scatenate i commenti.