Due o tre locali che vorrei suggerire alla guida Osterie d’Italia di Slow Food

Due o tre locali che vorrei suggerire alla guida Osterie d’Italia di Slow Food

Non solo polemiche per i prezzi eccessivi, dopo la nostra Opinione Impopolare sulla guida Osterie d’Italia 2014, anche consigli sul tipo di locale, nomi compresi, che Slow Food dovrebbe inserire. Interessanti, in particolare, quelli ricevuti dal lettore Salvatore Sechi, che abbiamo deciso di condividere con voi.

L’opinione impopolare di Martina Liverani è fondata. Anch’io ho trascurato che i prezzi si aggirano quasi tutti sui 35 euro, facendo presente a Dissapore che nell’ultima edizione di Osterie d’Italia, la nota guida di Slow Food, mancano alcuni luoghi interessanti.

Mi riferivo a una serie di locali che conosco, cioè frequento, da anni, vale a dire Sale Grosso a Bologna (in Via De Fachini 4/A), A Mezzo Canale da Ninetta nel Bellunese (sulla Valle Zoldana), i romani Da Gino (nel guscio di Vicolo Rosini, a ridosso della scalinata del Parlamento) e Renato e Luisa (in Via dei Barbieri 24).

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Si fregino o meno del nome di ristorante, sono delle osterie in cui domina un’aria familiare, nei rapporti e nella cucina. Cose che sembrano non interessare la maggior parte delle riviste in cui si dovrebbe praticare il mestiere della recensione, che ha come obiettivo l’assistenza del consumatore, la sua difesa da impostori e avventurieri, non lo spudorato tiramisu del ristoratore che non fa pagare le comande, o le genuflessioni al cuoco amico.

Per questa ragione, Sale Grosso dove si lavora il pesce con maestria non ha mai avuto nessuna segnalazione dalla scostumata critica enogastronomica. Bologna da decenni è una plaga, un deserto dei tartari per la ristorazione, e non solo. Da Sale Grosso si sta dentro i 35 Euro, in tavoli spartani, accuditi amichevolmente da Antonella e Marco, e dai giovanissini camerieri. Si è felici dei piatti che Lucio, il titolare, imbandisce ogni giorno con gusto e misura.

Un’osteria è invece a tutti gli effetti il locale romano, Trattoria Cavalier Gino. Molto raccolto, i tavolini sono quasi addossati l’uno all’altro. Un tempo, quando il suo Paese era una repubblica governata da un dittatore, ci consumava i pasti l’attuale re di Spagna che aveva come ospite Sandro Pertini. Oggi è assediato da parlamentari, uomini delle istituzioni e turisti. Bisogna prenotare e fare la fila per gustare i piatti classici della cucina romana.Il servizio è semplice, attento, si deve sgusciare alle spalle dei clienti.

Nel centro storico, a due passi da piazza Argentina, ci sono Renato e Luisa Di Placido. L’aria è proprio quella evocata dal nome – Quelli della Taverna, la cucina conficcata in uno spazio minuscolo, malgrado il tentativo di farlo passare per un ristorante. E’ davvero un’osteria, ariosa e amichevole, con un servizio tutto dedicato a far sì che i clienti si sentano bene.

In questi due luoghi si rimane entro i 35 euro.

Invece si sta sotto nella bellissima trattoria, in mezzo ai boschi, da Ninetta a Mezzo Canale, sulla strada del Bellunese che immette nella Valle Zoldana, con una impeccabile offerta di piatti della tradizione. La lavorazione immediata dei cibi rende un po’ lento il servizio, ma l’ambiente rigorosamente montanaro, in legno e roccia, è un’occasione indimenticabile.

Tornando in argomento, confesso di non avere mai trovato a buon prezzo, cioè sotto i 35 e i 30 euro, le proposte di Slow Food. E non ricordo che la benemerita associazione creata da Carlin Petrin abbia mai fatto cruente e indimenticabili battaglie per denunciare gli alti costi delle trattorie, ma anche, aggiungerei, dei vini.

Se Slow Food non “imbraccia il fucile” e non denuncia, cioè colpisce implacabilmente gli alti prezzi, come si può pensare che i giovani ristoratori possano essere indotti a contenerli?

[Crediti | Immagine: Slow Food]