Hart Bageri a Copenhagen, recensione: com’è il posto meno conosciuto di René Redzepi

La nostra recensione di Hart Bageri, panetteria e pasticceria di René Redzepi e Richard Hart a Copenaghen. Cosa si mangia, quanto si spende, perché è (incredibilmente) ancora un posto poco conosciuto.

Hart Bageri a Copenhagen, recensione: com’è il posto meno conosciuto di René Redzepi

Alle 9 passate di un venerdì di fine agosto la coda fuori da Hart Bageri, la panetteria di René Redzepi e Richard Hart, a Copenaghen, conta una decina di persone. Alcune hanno con sé trolley e valigie, segno o di un’urgenza d’assaggio appena arrivati in città o più probabilmente del desiderio di salutare la Danimarca portandosi via uno dei suoi migliori souvenir gastronomici.

Se di Redzepi si conosce e si è scritto praticamente tutto, comprese le aperture più o meno pop up, come il 108 e Popl Burger, non molto è stato raccontato di questa incursione nel mondo della pasticceria e dei lievitati, frutto della collaborazione con Richard Hart, l’ex capo panettiere della notissima Tartine di San Francisco. Insomma se quando si programma il proprio soggiorno a Copenaghen organizzando la visita alla città in base alle tappe gastronomiche imprescindibili, Juno the Bakery ed i suoi fotografatissimi cardamom roll compaiono ovunque sul web, Hart Bageri sembra invece appartenere ad una scena meno glam e più underground, con molti fan, ma più discreti.

La storia

Hart Bageri (7) Hart Bageri (8)

Hart Bageri ha aperto nel 2018 a Copenaghen. Il progetto è frutto della collaborazione tra René Redzepi e Richard Hart, chef inglese il cui trasferimento in California si è trasformato, nel 2005, in una folgorazione sulla strada dei lievitati, il pane su tutti, che si è tradotta in un cambio radicale: Hart diventa panificatore e trova lavoro da Tartine Bakery a San Francisco, fenomeno che ha rivoluzionato il mondo della panificazione contemporanea. Ci rimane 7 anni, di cui 5 come head baker, facendo del pane ad alta idratazione, a lenta maturazione con alveolatura omogenea e ben sviluppata, crosta fragrante e sottile, ma soprattutto bruciato – secondo la tendenza del burnt bread, in cui la reazione di Maillard è portata al massimo – uno dei suoi prodotti simbolo.

Il desiderio di cambiare e la conoscenza di Redzepi lo portano a Copenaghen: qui si prende un anno prima di dare concretezza alle sue idee, un anno durante il quale studia i classici della pasticceria danese ma soprattutto ascolta i consigli del deus ex machina Redzepi, oltre che imprenditore lungimirante e acuto, in fatto di pane: segale, segale e ancora segale. Studia, prova, definisce il campo: il resto lo fanno la mano artigianale, l’esperienza e l’estro creativo che lo portano a dare alla tradizione una spinta propulsiva, misurandosi sia con il pane – oltre alla segale, già citata, ci sono i panini integrali, le pagnotte di semi, l’imprescindibile pane bruciato, baguette e altre tipologie di pane bianco – sia con la pasticceria.

La viennoiserie

Hart Bageri (9)

Sono diverse, in città, le sedi di Hart Bageri. Dopo un primo sopralluogo nell’ultima aperta in ordine di tempo – quella di Høkerboderne, all’interno del meatpacking district, zona che nella seconda metà dell’800 venne destinata all’industria della macellazione e che dagli anni 2000 è stata riconvertita in cluster creativo con ristoranti, gallerie d’arte e spazi culturali – abbiamo deciso di provare la prima, quella aperta a Frederiksberg, quartiere elegante e raffinato.

Arredo minimalista con prevalenza di toni grigi, scaffali a vista dietro al bancone dedicati ai vari tipi di pane, laboratorio parzialmente a vista, personale paziente e disponibile, a servizio del prodotto e del cliente. L’impressione è che la scelta del grigio e quella di evitare al personale sorrisi obbligatori e cordialità non spontanea, preferendo piuttosto capacità di spiegare nel dettaglio lavorazione e ingredienti, siano volute e che l’unica cosa che debba contare non siano i nomi alla spalle del progetto, quanto piuttosto, semplicemente, il prodotto. L’assaggio ha volutamente privilegiato la viennoiserie, tralasciando pane, plum cake e cheesecake.

La sfoglia, ma soprattutto il suono della sfoglia

Hart Bageri (3)Hart Bageri (5) Hart Bageri (6) Hart Bageri (11)

Schierati in fila ci sono classici della pasticceria francese e danese: pain au chocolat, croissant al cardamomo, croissant, spandauer, tebirkes e teboller. Noti i primi – instagrammati al punto da perdere qualsiasi fascino, condannati ad essere addentati da bocche che mugolano al primo morso, rigorosamente rumoroso, seguito dal prevedibile commento sulla quantità di burro – meno noti, e decisamente più interessanti, i secondi. Ordiniamo, da portar via, un croissant al cardamomo e un pezzo per ognuno dei danesi. Piccola nota: ci viene chiesto se mangiamo subito o se la confezione deve affrontare in viaggio, domanda che rivela attenzione.

Cucina danese: i 15 piatti tipici della Danimarca da provare Cucina danese: i 15 piatti tipici della Danimarca da provare

La dimensione dei singoli pezzi è considerevole, tanto che la scatola li vede costretti. La partenza è volutamente neutra. Il teboller è un panino al burro, il cui impasto prevede anche uova e – poco – zucchero: di fatto un lievitato che funziona come una tela bianca cui accostare quello che si vuole. Gonfio, con il boccone che arriva a sfiorare al punta del naso, dorato e lucido, al morso è arioso e soffice e con la capacità di riprendere la forma tondeggiante dopo esser stato addentato. Il tono dolce è lievissimo e rimane pulito sullo sfondo, mentre il burro, la cui presenza si percepisce se non altro sulle dita, serve a dare rotondità e non certo grassezza. Gran lavoro.

La pasticceria della Danimarca in 11 dolci danesi tipici La pasticceria della Danimarca in 11 dolci danesi tipici

Appartenente alla grande famiglia del wienerbrod (letteralmente “pane viennese”, che indica genericamente una pasta sfogliata – gli strati croccanti e burrosi dovrebbero essere 27), lo spandauer ha la capacità straordinaria di raccontarvi esattamente l’anima del posto in cui siete. Se dall’aspetto stanco, con l’effetto dell’esposizione all’aria a dare quel tono di disfatta e una glassa che lascia intuire l’umidità, vi racconterà di una pasticceria un po’ alla buona, magari turistica, magari – ma non necessariamente – una catena o all’interno di un mercato coperto molto citato nelle guide (ne abbiamo visti). Invece dorato, lucido, con lo zucchero a velo che si capisce essere stato sparso da poco sulla superficie, i bordi belli dritti e alti a difesa del cuore di crema alla vaniglia, è pronto a raccontare un’altra storia ed un altro forno. Ed è questo il caso. Dopo il primo boccone, croccante in modo da tintinnare persino, una volta affrontata la sfoglia, è la crema a rubare la scena. Dimenticati certi assaggi dolcissimi, qui è proprio la sobrietà complessiva a fare la differenza, con una consistenza che al palato è velluto. La vaniglia è nettamente distinguibile, sia alla vista (i semini), sia al palato, mentre totalmente assente è quel sapore di uovo che spesso accompagna questo tipo di dolci. Qui tutto è tenuto volutamente composto, con un’eleganza che verrebbe da dire trattenuta, che non sbraca mai e che rimane educata. Danese, appunto.
Rivelazione assoluta di questo assaggio è il tebirkes, incomprensibilmente snobbato dagli assaggi social, ma decisamente più interessante del monotono pain au chocolat.

Il tebirkes è la Danimarca meno scontata, quella più autentica e che si scopre andando oltre la superficie. Stessa grande famiglia di sfoglia citata prima, tutt’altra pasta, verrebbe da dire. Il merito di un carattere da vendere va a due ingredienti, il marzapane ed i semi di papavero. Il primo costituisce il ripieno, i secondi la veste puntinata e giocosa della superficie. Superate le obiezioni di chi sostenga il carattere stucchevole del marzapane, qui la bravura dell’esecuzione e che ne rappresenta la grandissima piacevolezza è data da un marzapane non troppo dolce, che dispensa sapore ad ogni morso in modo scientifico, e dal fatto che esso fuoriesca volutamente dall’impasto, trasformandosi in una lastra croccante e caramellata. Ecco che allora l’assaggio si fa un gioco di rimbalzo tra sapori e consistenze, con il croccante declinato in sfoglia, lamina di marzapane e, infine, semini di papavero, che ad ogni boccone regalano una coda di aroma che rimane lungo al palato. Ogni morso è pieno, pulito, con il burro a far scurire la sfoglia ma soprattutto a farla risuonare cristallina come i colpi del triangolo in un’orchestra.

Il palato è ancora pulito ma soprattutto non è stanco. Prevedendo il profumo del cardamomo, l’abbiamo lasciato per ultimo. Brunito ma non bruciato, lucido, con una sfoglia burrosamente eloquente, è innegabile ammettere che il croissant al cardamomo rubi la scena. Capolavoro di ingegneria (mangiandolo e osservandolo all’interno è impossibile capire come si riesca a farlo), magnetico come un frattale, questo piccolo monolite profumato ha tutto per essere un piacione. E il punto è che ci riesce ma senza superare il limite. Se al cardamomo spetta il compito di aprire e chiudere la scena, con una persistenza che tuttavia non sfocia mai in un profumo smaccato, se la dolcezza contenuta è ancora il tratto distintivo che anche a distanza di ore non costringe a bere oltre il necessario, è ancora – su tutto – il suono della sfoglia a far dire che quella di Hart Bageri resta una viennoiserie da manuale. Un suono pulito, privo dei toni volgari dei morsi da social, dalle note acute che introducono e quelle basse che chiudono, con il ritmo che si mantiene inalterato dall’inizio alla fine. E’ come mettere insieme il rigore di Bach e il genio di Miles Davis.

I prezzi di Hart Bageri a Copenhagen

I prezzi variano dai 5,50 euro circa del croissant al cardamomo ai 4,50 del croissant classico. Caro? Considerando le dimensioni, il costo della vita a Copenhagen (in media, il doppio o due volte e mezzo rispetto all’Italia) ed i prezzi delle altre pasticcerie cittadine, la conclusione è un “no” privo di incertezza.