Stuzzicandenti memories: Il buonappetito

Stuzzicandenti memories: Il buonappetito

Che fine hanno fatto gli stuzzicadenti? Non dico nei ristoranti eleganti, ma persino le trattorie ormai ne hanno una manciata sparsa in un cassetto, abbandonata, tra sugheri e stappabottiglie. Immagino che la Samurai sia in grande crisi o abbia riconvertito la produzione, dandosi, chessò, agli stick per i ghiaccioli.

Nessuno nell’anno del signore 2018 sognerebbe di pulirsi i denti con uno stuzzicadenti a tavola, e sono convinto che tanti della generazione Z, quella del nuovo millennio, se vedessero uno tormentarsi con un bastoncino di legno si chiederebbero: cosa sta facendo quello? È una nuova droga che va impiantata nelle gengive?

[Il Buonappetito: gaffe e figuracce che si fanno al ristorante]

Eppure c’è stato un tempo – nemmeno molto remoto – in cui lo stuzzicadenti era persino uno status symbol. Ricordate? Il vero uomo si aggirava per la sala biliardi o meditava dopo il fernet rigirandosi uno stuzzicadenti tra le mandibole, nell’angolo della bocca. Come a dire: ehi, non mi troverai mai impreparato con una foglia di prezzemolo tra i molari.

Quell’Italia lì non c’è più, è scomparsa. Come le sigarette con caffè a fine pasto, come il gin fizz in discoteca, come i juke-box, come i succhi di frutta che costavano due lire e invece ora son più cari della birra.

Il motivo? Credo sia una questione oggettiva, non di usi e costumi: abbiamo denti migliori, più curati di quanto li avessero i nostri genitori quarant’anni fa. Dunque: abbiamo meno bisogno del bastoncino puntuto – chi ricorda quelli di piuma d’oca? – per esplorar cavità e fessure. E questa è una buona notizia per tutti. Tranne che per la Samurai.