Da Monopoli a Bari passando per il Salento: nuovi indirizzi quasi cruciali che la tua guida potrebbe aver dimenticato

Archivio immagonita la Sicilia e punto verso la Puglia, destinazioni sparse e vagamente indefinite. Dopo il viaggio notturno in pullman e un’epica alba sullo stretto — a proposito, qualcuno osa spacciare gli arancini del traghetto per commestibili, ma esperienze precedenti mi suggeriscono di skippare il test — approdo a Monopoli, cambio brigata di amici e riparto verso Lecce. Breve inciso: non è la prima visita, sicché la carrellata di indirizzi è ristretta, chi ha necessità di ampliarla si diriga fiducioso qui.

Gastronomicamente parlando il Salento è tanta roba. A cominciare dal caffè alla leccese, con i cubetti di ghiaccio (non fotografato perché prima del caffè difficilmente sono available), i pasticciotti, il pane e la puccia, i piatti con la carne di cavallo. Comincio col dire dei pasticciotti e del pane. Ho gironzolato nel laboratorio del Panificio Quarta scattando qui e là, mentre il profumo della frolla appena cotta si incanalava verso i forni del pane.

Così vengono fuori i pasticciotti, tassativamente senza amarena: mi spiegano che oggi non si mette più, resta solo un involucro di frolla a racchiudere la crema pasticciera, che io solo di quella ne mangerei a cucchiaiate. Poi spuntano i cornetti, qualche pasta ripiena e la leggendaria focaccia con i pomodori, cioè lo spuntino da spiaggia/città/casa più gettonato del circondario.

Insomma, un bel modo per aprire la giornata nella sua componente gastronomica. Oppure per chiuderla (tanti sono i pasticciotti mandati giù furtivamente).

Se per qualche incomprensibile ragione siete ben disposti verso l’introvabile parcheggio di una sagra qualunque, indispensabile per poi ballare la pizzica, allora scegliete tra millemila feste agostane. Io sono finita prima in un raduno punk-rock e infine alla Sagra della municeddha, a Cannole, dove ho assaggiato le famose lumachelle e un ottimo piatto di pezzetti di cavallo. Ma il vero erotismo della questione erano gli allegri signori addetti alla vendita dei sedani, disboscati a mazzi e allegramente sgranocchiati da tutti previo lavaggio nella fontana paesana.

Terminato il rapido excursus salentino, di cui vi risparmio il resto perché metà dei vostri conoscenti erano in fila con me verso Cannole, e non vedono l’ora di raccontarvi tutto ma proprio tutto del Salento, punto Bari e provincia. Nella parentesi a Monopoli abbiamo tentato senza successo una sortita da Perricci, osteria molto ben chiacchierata. Chi ci è stato non si faccia pregare e racconti. Noi volevamo pranzare alle 5, strano non ci abbiano risposto male.

Siamo a Bari, svuotata dall’emigrazione ferragostana e con pochi turisti, per cui assai godibile. Attribuito ad amici fidati il lasciapassare definitivo per scegliere le prossime tappe, eccoci al Chiringuito, baretto storico del Porto Vecchio di Bari, molo San Nicola.

La mattina c’è il mercato del pesce, la sera ti servono birra — Peroni only — e panini con musica in sottofondo. Una volta dentro Bari vecchia, piccole chicche: dagli “aperitivi abbondanti” (letterale) ai banchetti delle signore che, brutalmente sottovalutate per il caldo, offrono sgagliozze, ovvero tranci di polenta fritta da mangiare passeggiando.

Poco più avanti, tra i vicoletti affascinanti, il vero s-p-e-t-t-a-c-o-l-o: rudimentali spianatoie di legno sostengono la preparazione delle orecchiette lavorate a mano e vendute ai passanti da donne abilissime tra una chiacchiera e l’altra. Non riesco a capire una sola parola di quello che dicono quando non si rivolgono a me, ma è tutto bellissimo.

Altra sera. Attraverso sentieri bui, sterrati e scorciatoie infinite arrivo in auto a Triggianello, frazione di tradizione carnivora dove furoreggiano le macellerie con fornello, vale a dire: tu scegli la carne cruda al banco poi prendi posto nei tavoloni di legno, loro te la servono dopo averla cucinata. Consigli se andate alla Rosticceria Da Matteo in Corso Vittorio Emanuele: carne inarrivabile di perfetta frollatura, una vera scoperta il diaframma passato alla brace, lasciate stare le pizze, in caso prendete una birra in più, ne hanno un’infinità.

Per finire, carrellata sparsa di cibi e spuntini: spaghettate con salsiccette e funghi del posto affondati nell’olio, fritture a tarda notte e chi più ne ha più ne metta. Io, ahimé, sono già piena.