Perché gli “stellati” italiani costano il doppio del Noma, il ristorante migliore del mondo?

Che si debbano spendere 160 euro vini esclusi per mangiare Dal Pescatore a Canneto sull’Oglio è una cosa veramente, veramente orrenda. I 200 euro dell’Enoteca Pinchiorri e i 190 della Pergola di Roma, nemmeno li commento più. Ma fuori dall’esiguo giro dei ristofanatici, nell’anno di magra 2010, sono altrettanto indecifrabili i 150 euro di Vissani, Cracco, Le Calandre. Orrendamente costosi. Inspiegabilmente costosi.

Inspiegabilmente?

Venerdì scorso, al termine di una sinfonica cena nel suo locale di Senigallia, ho chiesto allo chef Mauro Uliassi cosa pensasse degli 80/100 euro di conto medio del Noma, il ristorante di Copenhagen che la classifica World’s 50 best della rivista Restaurant Magazine ha appena eletto migliore del mondo. La risposta non avrebbe sfigurato in una lezione di economia aziendale della Bocconi. Riassumo: i costi sostenuti da una mangiatoia di lusso come la sua (2 stelle Michelin) per soddisfare i requisiti che oggi richiede la critica (guide, riviste, blog), non permettono prezzi più bassi. Punto e a capo.

— Ma allora il Noma di Copenhagen…

— Copenhagen sta in Danimarca, altro paese, altro costo del lavoro, altro sistema fiscale.

Okay, è verò, in Italia i ristoranti stellati costano troppo per questi motivi. Ma mi chiedo: è tutto qui?

No, non lo è. I ristoranti stellati in Italia sono esageratamente decorati, spaventosamente concettualizzati. Spendono troppo per la cerimoniosa liturgia delle tovaglie, dei piatti, dei bicchieri, per bardare le pareti e il personale. Solo la crisi li sta forzatamente risvegliando da un lungo letargo. Per anni, incoraggiati dalle guide (Michelin soprattutto) più attente agli orpelli che alla vitalità della cucina, hanno inseguito solo una piccola percentuale di clienti, quella disposta a pagare senza battiti di ciglia conti che sono ordini di sfratto.

Non voglio avere solo clienti ricchi. Voglio un posto dove i miei amici possono venire molte volte, un luogo che possano permettersi. Quindi è molto importante per me avere un locale frequentabile e dove si cucini sempre con il massimo di creatività.

Stefano Bonilli del Papero Giallo ci ha raccontato chi è e come la pensa Inaki Aizpitarte, il cui ristorante parigino, lo Chateaubriand, ha messo in fila nella classifica World’s 50 best, ogni altro tempio del lusso francese, seducente quanto volete.

Il giorno dopo Uliassi, era sabato, ho appagato la fascinazione per le cene esaltanti mangiando al ristorante Il Povero Diavolo di Torriana (Rimini), ex trattoria romagnola ristrutturata in modo semplice dal proprietario Fausto Fratti. Niente fronzoli. L’andirivieni di piatti, grazie alla mano e alla freschezza di idee del giovane chef Piergiorgio Parini, è stato addirittura più sorprendente di quello della sera precedente. Cosa posso farci se mangiando bene riesco perfino a commuovermi?

Il conto pagato al Povero Diavolo è stato di 80 euro. Significa qualcosa?

[Fonti: Il papero giallo, Andrea Graziano, immagini: Il papero giallo, Jonathan Hayes]