Con la ricerca non si mangia: ll lampredotto invece della carriera universitaria

Con la ricerca non si mangia: ll lampredotto invece della carriera universitaria

Silvia Pezzatini ha 39 anni, vive a Firenze e vende lampredotto. Ogni mattina si alza per andare in piazza Dalmazia a Firenze, nel chiosco che la sua famiglia gestisce dal 1975. Cosa c’è di particolarmente meritevole dell’attenzione di questo post nel fatto che una ragazza si senta risolta, e anzi, orgogliosa di portare avanti  il mestiere di famiglia, ovvero, vendere un piccolo capolavoro del quinto quarto italiano?

Una forzatura, un particolare nel curriculum, fino all’anno scorso Silvia lavorava come ricercatrice di farmacologia all’università di Siena.

Dopo tre anni di dottorato in medicina molecolare a 800 euro al mese, e quattro anni di assegni e borse di ricerca a 1200, l’ex ricercatrice ha lasciato la carriera universitaria realizzando che avrebbe guadagnato di più spalmando salsa verde e preparando panini nel chiosco dei genitori, lo ha raccontato in un’intervista al Corriere.

Delle due una, o per i ricercatori in Italia lo scenario è sempre più scoraggiante, o i chioschi di lampredotto sono piccole miniere d’oro? Silvia chiarisce:

“Non avevo prospettive di un lavoro stabile. Dopo quasi vent’anni passati all’università, diventare ricercatrice a tempo indeterminato restava un miraggio. Vivevamo costantemente con la paura di non vederci rinnovate le borse di studio, e spesso si rimaneva anche tre mesi senza vedere l’ombra di un euro”.

E siccome l’incertezza logora chi ce l’ha e i sogni infranti spengono la passione, l’anno scorso arriva l’epilogo: dopo mezza vita di successi in campo scientifico e frustrazioni in quello economico, la folle decisione di tornare al chiosco di famiglia. Non tanto per i soldi che si guadagnano, ma per la sicurezza dello stipendio a fine mese, quantomai necessario con una bimba di sedici mesi.

Massimo rispetto per l’artigianalità e i mestieri in grado di alimentare intimità con il cibo, cui peraltro –ce lo dicono le statistiche– molti under 30 stanno tornando visto il tasso di disoccupazione giovanile superiore al 36%, ma a prescindere dall’incapricciarsi per i propri sogni, che poi sarebbe fare il lavoro per cui si è studiato, la storia di Silvia mi ha lasciato un peso sullo stomaco. E il lampredotto non c’entra.

[Crediti | Link: Corriere.it]