A oggi la Sicilia importa l’80% del cibo che consuma – un dato apparentemente semplice ma che in realtà racconta di una situazione che affonda le sue radici in più strati. Strati che, in ogni caso, condividono un tema unico – quello della fragilità della filiera agricola locale. Basti pensare, ad esempio, che nel lasso di tempo compreso tra il 2018 e il 2021 il numero di aziende agricole attive sul territorio regionale si è ridotto del 35,2%, trascinando con sé anche la mole degli addetti che è passata da oltre 150 mila unità a circa 142 mila. La fragilità dell’agricoltura sicula, per di più, passa anche per le crisi naturali: con lo scorso anno rimasto pesantemente macchiato dalla morsa della siccità, si stima che il 70% dei suoli agricoli dell’isola siano a rischio inaridimento.
Il sogno dell’autosufficienza alimentare

I numeri, tuttavia, lasciano intendere anche un altro tipo di storia. L’agricoltura siciliana è di fatto al secondo posto dopo quella della Lombardia per il valore aggiunto ai prezzi di base; ma occupa il sesto per quanto concerne produzione, commercializzazione e trasformazione dei prodotti. Importante considerare, per di più, la ricchezza del patrimonio agricolo locale, che può vantare 71 tra IG, DOP, IGP. Insomma, il potenziale c’è.
“Basterebbe investire sui punti critici per invertire la situazione” ha commentato a tal proposito il segretario generale della Flai Cgil Sicilia, Tonino Russo. “Producendo in Sicilia cibo sufficiente al fabbisogno interno si potrebbero creare oltre 300 mila posti di lavoro e produrre cibo sano e accessibile a tutti”. Prendere due piccioni con una fava, insomma – risolvere la fragilità intrinseca della filiera e al contempo creare occupazione. Come fare, però?
Russo non ha dubbi: “È necessario indirizzare le risorse europee che arrivano dalla Pac, 2,9 miliardi di euro in questa direzione guardando a chiudere le filiere”. In questo senso la Flai si sarebbe già attivata, e starebbe lavorando insieme alla fondazione Metes per individuare “percorsi concreti di produzione del cibo sano e accessibile a tutti nel rispetto dell’uomo e dell’ambiente e guardando all’autosufficienza alimentare”. Insomma, il nodo della questione è la necessità di investimenti.
Ci sono anche altre macchie, tuttavia, sull’agricoltura siciliana: “Nella geografia del caporalato” ha proseguito Russo “sono state individuate in Italia 53 aree di sfruttamento con un tasso di irregolarità del 37% (rapporto Agromafie) e la Sicilia è la prima regione d’Italia. Un problema che va superato”. Ma non finisce qui: “Oltre che con l’operazione legata a cibo ed agricoltura la Flai Sicilia si candida a essere in prima fila nella lotta ai cambiamenti climatici, rivendicando un piano di forestazione per il rimboschimento dell’isola e la manutenzione del territori” conclude Russo. “Con una riforma che deve anche stabilizzare la spesa e il lavoro, con la previsione di due livelli occupazionali, lavoratori a tempo indeterminato”.