Una fotosintesi artificiale ibrida, che di fatto è in grado di combinare i sistemi inorganici e quelli biologici in modo da aumentare la produttività dell’agricoltura globale: ci stiamo riferendo al risultato ottenuto da una ricerca guidata dalle Università statunitensi della California a Riverside e del Delaware a Newark, i cui ricercatori hanno coltivato lievi, alghe, funghi e perfino riso, pomodori e fagioli impiegando questo nuovo metodo.
Metodo che, stando a quanto si può leggere dallo studio in questione – pubblicato sulla rivista scientifica Nature Food -, è di fatto 18 volte più efficiente della più tradizionale fotosintesi naturale, e potrebbe dunque rivelarsi strumentale nel soddisfare la crescente domanda di cibo senza espandere ancora i terreni dediti all’agricoltura o, considerando le notizie più recenti, magari sopperire ai cali produttivi determinati dalla siccità. Nello specifico il nuovo sistema di fotosintesi impiega l’elettricità generata tramite pannelli fotovoltaici per convertire acqua e CO2 in ossigeno e acetato, che viene poi utilizzato come ingrediente chiave per far crescere al buio organismi e vegetali. Acetato che, è importante notarlo, non produce alcun tipo di composti dannosi a differenza di altre molecole come il formiato o il metanolo, ipotizzate in passato come fonti di carbonio alternative.
I ricercatori, guidati da Elizabeth Hann e Marcus Harland-Dunaway dell’Università della California, e da Sean Overa dell’Università del Delaware, hanno preso in esame tre organismi: l’alga fotosintetica Chlamydomonas, il lievito Saccharomyces cerevisiae, ampiamente utilizzato per la produzione di alimenti e bevande fermentate, e funghi; concludendo che tutte e tre le colture erano in grado di saper sfruttare l’acetato come fonte di energia aggirando di fatto il meccanismo della fotosintesi biologica.