Qualcuno dovrebbe spiegare al presidente degli Stati Uniti che il protezionismo ha conseguenze inaspettate. Specie se imponi tariffe a raffica, e il criterio non è per nulla trasparente, a tratti incomprensibile. Fra i tanti settori toccati e preoccupati dai dazi di Trump c’è anche quello del vino californiano. I produttori della regione vitivinicola più rinomata degli USA si lamentano dei rincari percentuali che rischiano di mettere in seria difficoltà il loro lavoro. In questo caso giungono sotto forma di materiali per produzione e affinamento del vino che a breve costeranno molto di più.
Botti, bottiglie, tappi
Ovvero: legno francese, vetro italiano, sughero portoghese. Questi materiali sono alla base del processo produttivo del vino, e non serve la spiegazione di un tecnico enologo per arrivarci. Con le tariffe al 15% imposte all’Europa, l’approvvigionamento delle materie prime fondamentali per la produzione e affinamento del vino per il mercato americano rischia di diventare assai più costoso. Anzi, correggiamo: diventerà più costoso.
“Il mio fornitore di sughero ha detto che riesce a coprire il 2%, mentre io devo pensare al restante 13”, dice il produttore californiano Kory Burke. “Poi quello delle botti mi chiama per dirmi che devo affrettarmi a ordinare dalla Francia, altrimenti il prezzo salirà da 100 a 150$”. Non è solo una questione di aumenti: c’è di mezzo anche il cambiamento di stile.
È proprio la quercia francese, ad esempio, a conferire la classica rotondità burrosa e vanigliata agli Chardonnay della zona. Effetto che diversamente non si potrebbe ottenere con il rovere americano, più spostato su sentori di zucchero di canna e caramello. Insomma, il materiale impatta sul vino in modo importante, e farne a meno significherebbe snaturarlo.
Ma non c’è solo lo stile. Anche i macchinari per raccolta e diraspatura arrivano dal vecchio continente. “Ogni singolo prodotto che usiamo arriva con le istruzioni in sei lingue”, continua Burke. “Potremmo costruirli qui? Certamente, ma ci vorrebbero almeno tre anni e non siamo specializzati tanto quanto gli europei”. Chiosa Paul Hoover, produttore della regione di Paso Robles: “L’unico elemento made in USA è il vino”.
Mercati paralleli
La verità è che il problema non è la competizione con i vini europei. Anzi, non lo è mai stata. Si tratta di due mercati paralleli, che mai si incontrano e/o potrebbero sostituirsi. Non è che uno compra il pinot nero dell’Oregon perché vuole un Borgogna, afferma in un comunicato stampa la National Association of Wine Retailers. Se il consumatore non può più permettersi il vino francese, semplicemente non lo compra.
Chi pensa che i dazi di Trump (Trump compreso) possano favorire il vino americano contro quello europeo dunque si sbaglia di grosso. “Non è che le persone comprano le mie bottiglie per via delle tariffe su quelle francesi. Semmai io sono in competizione con i colleghi americani e californiani. Non c’è paragone con i vini europei, quelli sono proprio un’altra cosa”. Dunque il danno va tutto alla produzione domestica.
Più tariffe significa prodotto finale più costoso, che peraltro fa parte di quella categoria a cui il consumatore rinuncia con più facilità in periodi di recessione. Sempre la NAWR ricorda: “L’aumento del costo della vita che le tariffe inevitabilmente provocheranno, insieme all’aumento del prezzo del vino, butteranno giù i consumi ulteriormente, danneggiando il vino americano a livelli da cui difficilmente sarà possibile risollevarsi”.
Le previsioni pessimistiche non riguardano solo la produzione domestica. Lo abbiamo detto, i canali sono paralleli, e in mezzo a questo pastrocchio economico ci sono anche gli importatori. Tanto che un distributore con sede a New York ha fatto causa al governo impugnando l’illegittimità costituzionale delle tariffe. “Molti di questi vini semplicemente non possono essere prodotti qui, per differenze di clima, suolo e altri fattori” dice Ilya Somin, professore di legge alla George Mason University.
“Non facciamo un favore agli americani, così danneggiamo l’industria e i consumatori”. Chiude con una frase a effetto Jim Knight, co proprietario di un’enoteca a Los Angeles con vini da tutto il mondo: “Anche gli importatori di vino dall’Europa sono business americani”.