Anche il pomodoro italiano, dopo la pasta, è accusato di concorrenza sleale

L'accusa viene dall'Australia, dove marchi come De Clemente, IMCA, Mutti, avrebbero messo in vendita i loro prodotti a prezzi troppo bassi.

Anche il pomodoro italiano, dopo la pasta, è accusato di concorrenza sleale

Il termine “dumping” sta diventando preoccupantemente famigerato per i grandi marchi del nostro agroalimentare all’estero: a inizio ottobre l’accusa di questa pratica commerciale scorretta, con cui si immettono su un mercato estero beni sottocosto, toccò a Garofalo e La Molisana e, dopo la pasta, ora a passare dei guai sono aziende produttrici di conserva di pomodoro. Stavolta però, Trump non c’entra nulla.

Si tratta infatti dell’organo di regolamentazione anti-dumping australiano ad aver concluso la fase preliminare di un’indagine avviata in seguito a una denuncia presentata lo scorso anno dal colosso alimentare australiano SPC (noto per i marchi SPC, Ardmona e Goulburn Valley), riscontrando che tre grandi aziende italiane di trasformazione del pomodoro hanno venduto prodotti in Australia a prezzi artificialmente bassi, minando significativamente le imprese locali.

L’indagine sui produttori italiani di pomodoro

pomodoro

L’indagine ha coinvolto quattro produttori italiani: De Clemente, IMCA, Mutti e La Doria, e ha rilevato che tre di essi (De Clemente, IMCA e Mutti) avevano “scaricato” (dumped, appunto) prodotti in Australia nel periodo di 12 mesi terminato a fine settembre dello scorso anno. Il rapporto preliminare ha dichiarato che “gli esportatori dall’Italia hanno esportato le merci in Australia a prezzi oggetto di dumping e/o sovvenzionati”, un documento che ha da subito scagionato La Doria dalle accuse.

Secondo La denuncia di SPC, i supermercati Coles e Woolworths vendevano lattine da 400 grammi di pomodori italiani con i propri marchi a 1,10 dollari australiani, mentre il marchio Ardmona di SPC, coltivato in Australia, era venduto a 2,10 dollari. La Commissione anti-dumping ha stabilito che le importazioni italiane hanno “significativamente minato i prezzi dell’industria australiana tra il 13% e il 24%”.

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Nonostante le prove di dumping, le prime conclusioni hanno sollevato dubbi riguardo all’effettivo danno subito dall’industria australiana nel suo complesso. Sebbene la commissione abbia riscontrato che SPC avesse perso vendite, quote di mercato e profitti a causa dell’abbassamento dei prezzi, non è stata in grado di quantificare l’entità di tali perdite. Più in generale, la revisione preliminare ha stabilito che non vi era stato un “danno materiale all’industria australiana” derivante dalle importazioni.

Una situazione ulteriormente chiarita dallo stesso Commissario, che “ritiene in via preliminare che, a questo punto dell’indagine, sulla base delle prove a disposizione del Commissario e dopo aver valutato altri fattori nel mercato australiano dei pomodori preparati o conservati in cui l’industria australiana compete, le importazioni di merci oggetto di dumping e/o sovvenzionate dall’Italia abbiano avuto un effetto sulla condizione economica di SPC, ma che l’industria australiana non abbia subito un danno materiale a causa di tali importazioni”.

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Il direttore generale di SPC Global, Robert Iervasi, ha espresso delusione per il parere preliminare della commissione che negava il danno materiale: “SPC rispetta il processo ma è delusa dai risultati iniziali. Restiamo impegnati per una concorrenza leale e per garantire condizioni di parità per i produttori e i coltivatori australiani”.

Se l’Italia riesce ad essere così aggressiva sui prezzi, può non essere per ragioni di concorrenza sleale. La stessa commissione ha infatti ammesso il potenziale vantaggio competitivo italiano, notando che i produttori italiani beneficiano di economie di scala significative, elaborando 5,3 milioni di tonnellate di pomodori l’anno scorso, rispetto alle 438.000 tonnellate elaborate dagli operatori australiani. La commissione ha spiegato che: “Ciò consente ai produttori italiani di ripartire i costi fissi su un volume e una varietà maggiori di prodotti”. Inoltre, i produttori italiani “possono quindi produrre pomodori preparati o conservati a costi inferiori e vendere i prodotti a un prezzo inferiore rispetto ai produttori australiani, fornendo loro un vantaggio competitivo rispetto all’industria australiana”.

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La reazione istituzionale europea è stata netta. Funzionari dell’Unione Europea hanno messo in guardia sul fatto che le accuse di cattiva condotta potrebbero generare “significative tensioni politiche”, e che le indagini sulle esportazioni alimentari della regione, “soprattutto sulla base di prove discutibili, sarebbero percepite molto male”. In una presentazione separata alla Commissione anti-dumping, il governo italiano ha definito la denuncia di SPC “ingiustificata e priva di fondamento”.

Su questi dati si dovrà basare la scelta del Ministro dell’Industria Tim Ayres, che deciderà sulle eventuali azioni da intraprendere contro i produttori italiani entro la fine del prossimo gennaio. Questa controversia si inserisce nel contesto delle tese negoziazioni per un accordo di libero scambio tra l’Australia e l’UE, in pausa dal 2023 a causa di uno stallo sulle tariffe agricole.