“Cibo naturale”: il Parlamento europeo chiede una definizione alla Commissione

Gli eurodeputati spingono per una definizione ufficiale di ciò che è "naturale" nel cibo, per evitare inganni ai consumatori.

“Cibo naturale”: il Parlamento europeo chiede una definizione alla Commissione

I componenti del Parlamento europeo spingono per una definizione legale e ufficiale del termine “naturale” quando si parla di cibo, e lo chiedono per iscritto alla Commissione. Più di 30 eurodeputati hanno firmato una lettera al Commissario europeo per la salute e la sicurezza alimentare, Stella Kyriakides, chiedendo una definizione giuridica di cibo naturale. Senza una tale definizione, si rischia di compromettere il passaggio a diete sane e sostenibili, sostengono i deputati. Questo perché l’affermazione è spesso utilizzata dai produttori di alimenti per promuovere caratteristiche degli alimenti che “divergono in modo coerente dalla composizione del prodotto finale”.

La definizione sarebbe coerente con le intenzioni dichiarate dalla UE nella strategia Farm to Fork (F2F): tra queste ci saranno una serie di proposte legislative per bandire le informazioni fuorvianti negli alimenti. Come vengono ingannati i consumatori? Secondo l’associazione no profit Safe Food Advocacy Europe (SAFE), senza una definizione legale del termine, i consumatori vengono fuorviati da affermazioni errate. Per i consumatori, “naturale” si riferisce alla lavorazione minima e/o all’assenza di additivi, ha osservato SAFE, e negli alimenti si intende un prodotto privo di OGM e di sostanze sintetiche che è biodegradabile al 100%.

L’associazione no profit ha recentemente analizzato la composizione di centinaia di prodotti a scaffale che recavano il termine “naturale”. I risultati hanno rivelato che la maggior parte dei prodotti analizzati contenevano sostanze chimiche e sintetiche. Affermazioni vaghe e generiche ma suggestive sono presenti sui packaging alimentari e nelle pubblicità, oltre che sui siti delle aziende: quando sono ingannevolmente riferite al rispetto per l’ambiente, si parla di greenwashing; quando sono tese a far intendere un trattamento umano degli animali allevati, si usa il termine humanewashing. Le norme sulla pubblicità ingannevole possono essere utili in questi casi, ma certo la cosa migliore è una definizione legale che stabilisca in maniera stringente quali sono i requisiti obbligatori per poter usare un termine, come per esempio da qualche anno è in Italia per la birra artigianale. La lettera è stata presentata alla Commissione europea il 10 febbraio e SAFE prevede di ricevere una risposta il mese prossimo.

[Fonte: Foodnavigator]