Dopo i deserti, l’Antartide e le profondità abissali, la lista dei territori ostili all’essere umano include le cucine dei ristoranti. Note per essere decisamente poco inclusive, con un’organizzazione di stampo gerarchico e militare (non per niente chi ci lavora è organizzato in brigate), spesso formate da soli uomini e spesso apertamente sessiste e razziste. Il mondo della cucina ha regole tutte sue, al limite del piratesco, in cui condizioni di lavoro logoranti e abusi di persone e sostanze sono all’ordine del giorno: chiedete a Anthony Bourdain. Bene, in queste circostanze oscure ogni tanto c’è una luce di speranza. Ce lo dimostra la storia di Federica Pucciarello, donna, chef e food writer.
Cucine aperte
Classe 1986, Federica Pucciarello è ormai una cuoca veterana. Dopo il corso di studi all’istituto alberghiero, lavora per otto anni come aiuto chef al ristorante romano La Cacciarella. Poi passa a Etico Food, ristorante a due passi da Piazza del Popolo che si definisce “il più inclusivo di Roma”. La sua mission infatti è “dare opportunità lavorative e di inserimento sociale a persone disabili”. Questo perché, e fin qui non lo abbiamo specificato, Federica Pucciarello ha la sindrome di Down.
Aspetto questo che non le ha impedito una lunga e fortunata carriera. Dopo l’esperienza a Etico, Pucciarello sbarca all’Aleph Rome Hotel Curio della collezione Hilton, hotel di lusso in zona di Via Vittorio Veneto. “Questa è la cucina che ho sempre desiderato”, dice. “Ho sempre avuto questa passione: non bisogna mai smettere di sognare. Io il mio l’ho realizzato”. Dallo scorso luglio Pucciarello è sous chef addetta alle colazioni.
“Inclusione non è una parola, ma una pratica quotidiana”
Queste le parole di Valeria Fruscio, general manager dell’Aleph Rome. “Federica è un esempio per tutti noi: quello che riceviamo da lei è molto più rispetto a quello che riusciamo a darle. Noi ci auguriamo che con questo possiamo ispirare tante altre persone, leader e aziende a fare lo stesso”. Il punto è proprio questo: promuovere l’inclusione e trattarla come esercizio quotidiano, non eccezionale.
E soprattutto non utilizzarla soltanto come specchietto per le allodole. L’inclusione si fa, non si dice soltanto. Non vale assumere donne, immigrati, ex detenuti, persone disabili, LGBTQIA+ o nello spettro autistico se poi a porte chiuse la discriminazione continua. E non valgono neanche i trattamenti doppiopesisti, solo perché qualcun* appartiene a una percepita “minoranza”.
Lo spiega bene la prefazione al libro di ricette di Pucciarello a cura di Svetlana Celli, presidente dell’Assemblea del Comune di Roma. “Federica ha saputo abbattere barriere, superare ostacoli e far diventare la sua passione per la cucina il suo linguaggio e la sua arte”. Pucciarello non è brava o eccezionale per la sua sindrome di Down. È brava punto. È una professionista capace, seria e creativa (lo dimostra anche il suo libro) al di là della sua condizione fisica.
E se proprio dobbiamo prenderla in considerazione, allora diciamolo: la diversità è un arricchimento, sempre. E l’unica cosa intelligente da fare in questi casi, è prendere nota e seguire l’esempio. Dalle cucine dei ristoranti, fino a tutti gli ambiti di lavoro e socialità.