Forse l’intelligenza artificiale in cucina non è ancora una buona idea

Le grandi catene di fast food ci provano di continuo, ma la tecnologia ancora non ce la fa: dopo McDonald's, succede anche da Taco Bell.

Forse l’intelligenza artificiale in cucina non è ancora una buona idea

Con i grandi numeri macinati ogni giorno dai colossi del fast food, è facile intuire come la prospettiva di un’integrazione dell’intelligenza artificiale nella gestione sia decisamente allettante, permettendo un’ottimizzazione dell’operatività e dei flussi, basandosi sull’enorme quantità di dati che ogni ristorante produce quotidianamente. Eppure, nonostante la tecnologia faccia passi da gigante con cadenza quotidiana, la love story tra l’IA e le grandi catene di ristorazione statunitensi non sembra decollare.

Per un Wendy’s che sta espandendo l’uso del suo assistente drive-through, FreshAi, basato sulla tecnologia di Google, c’è un McDonald’s che alla fine dell’anno scorso ha interrotto la sua sperimentazione di tre anni con IBM, per poi riprovarci con Google Cloud.

Ora è Taco Bell, insegna americana dedicata alla cucina messicana, a fare i conti con qualche stramberia della sua intelligenza artificiale, trovandosi a dover riconsiderarne l’utilizzo.

18 mila bicchieri d’acqua

taco bell

Taco Bell, è parte della famiglia Yum! Brands, gruppo che include anche Pizza Hut e KFC, e ha introdotto l’AI per gli ordini dall’auto a partire dal 2023, implementandola in almeno 500 ristoranti negli Stati Uniti, con l’ambizioso obiettivo di ridurre gli errori e velocizzare il processo di ordinazione. L’esperienza però non si è rivelata priva di intoppi, tanto da suscitare l’ilarità della rete.

L’episodio in questione ha visto un cliente ordinare 18.000 bicchieri d’acqua, riuscendo a mandare in crash il software. L’intelligenza artificiale di Taco Bell sembra avere le bevande come punto debole, perché in altri casi il sistema faceva infuriare i clienti chiedendo all’infinito se volessero aggiungere drink al loro ordine, costringendo il personale ad intervenire.

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Clienti particolarmente spiritosi ci hanno messo del loro, cercando di “trollare” il sistema con ordini bizzarri, come centinaia di hamburger o richieste particolari, e decisamente colorite, per evitare il famigerato “Taco Belly”, il mal di pancia e i disturbi intestinali che secondo alcuni bisogna aspettarsi dopo aver esagerato col fast food messicano della catena.

Il Chief Digital and Technology Officer di Taco Bell, Dane Mathews, ha ammesso al Wall Street Journal di avere avuto esperienze contrastanti con la tecnologia, affermando: “A volte mi delude, ma altre volte mi sorprende davvero”, ammettendo però che l’azienda sta anche imparando molto da questa implementazione.

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A fronte di queste difficoltà, la catena sta quindi riconsiderando il futuro dell’AI vocale nei suoi drive-thru, e lo stesso Mathews sta riflettendo attentamente su dove e come utilizzare al meglio questa tecnologia: in ristoranti particolarmente affollati, un team umano resta la soluzione migliore per gestire un flusso intenso, e si continua a fare formazione nei ristoranti per aiutare i dipendenti a capire quando sfruttare l’AI vocale o quando monitorarla e intervenire.

Taco Bell ha dichiarato che, al netto di glitch e ordinazioni particolarmente bizzarre, la AI ha comunque elaborato correttamente più di due milioni di ordini, ma lo stesso Mathews ammette che è ancora “molto, molto presto” per affidarsi a questa tecnologia.