L’episodio è ormai noto e, anche se il post incriminato è stato rimosso, internet non dimentica, difficilmente perdona e gli screenshot sono girati su un po’ tutte le testate di settore, suscitando ovunque reazioni indignate. Stiamo ovviamente parlando del discusso annuncio di lavoro di chef Paolo Cappuccio, la cui esperienza e capacità tecniche sia come cuoco che come formatore non mettiamo in discussione, ma che ha evidentemente qualche problemino con la gestione delle risorse umane, e ne aveva un po’ per tutti, dai gay ai comunisti. Una svista, forse. Ironia non compresa, magari. O semplicemente un colpo di calore, ché in effetti in questi giorni fa caldo ed è un attimo che il sole ti dà al cervello. Può succedere, insomma.
Il fatto però è che, a ben guardare, non è nemmeno la prima volta.
Le scuse di chef Paolo Cappuccio sono credibili?
Comunisti, fancazzisti, persone con problematiche di alcool, droghe, “orientamento sessuale”: Cappuccio ha ben presente i soggetti con cui non vuole avere a fare e, intervistato dal Corriere del Trentino, lo chef modera i toni: “è un annuncio di disperazione. Uno sfogo di stanchezza mentale”.
Disperazione frutto di numerose delusioni lavorative precedenti: “cercavo collaboratori onesti, con un’idea chiara della loro posizione all’interno della società, della brigata, che si comportino bene. Perché sono stufo di persone che mi fanno perdere tempo, si mettono in malattia, non svolgono le proprie, mansioni o bruciano due infornate di pesce al sale, vogliono essere pagati ma non lavorare. I diritti sono sacrosanti, ma ci sono anche i doveri”.
Lo chef un po’ si giustifica e un po’ rivendica le sue posizioni, ma ci spiace dover registrare come questa sua disperazione vada avanti ormai da qualche anno: è il giugno 2020 infatti quando Cappuccio affida ai social un annuncio di lavoro, i cui toni sono ci sembrano conosciuti, con le tutte le definizioni colorite e stereotipate del caso.
Quella volta, per un hotel 4 stelle a Caorle, il capo partita primi che avesse voluto candidarsi doveva corrispondere a un profilo molto specifico e non appartenere a nessuna delle seguenti categorie: vagabondi senza dimora (ma come, l’offerta prevedeva un alloggio!), gente con problemi (e chi non ne ha?), “struscia ciabatte dei vari centri sociali” (aiuto), alcolizzati, drogati e affini (problematica che continua a riproporsi).
Conclude l’annuncio con: “mi scuso se non ho citato qualche altra forma di disagiati”. Toni ben diversi da quelli col giornalista del Corriere con cui invece si scusa “se ho leso la sensibilità di qualcuno (…), però il senso del messaggio era cercare collaboratori. Io parlo di cucina, non faccio il politico”.
E spiace ancora di più realizzare che la “stanchezza mentale” è ancora precedente: già a inizio 2019 un analogo sfogo lo portava a selezionare due cuochi che non fossero, come di consueto ormai, tossici, ubriaconi o “gente che gli piace la buccia”, definizione colorita ma che ci sfugge, se sapete cosa sono, fatecelo sapere.
Insomma, se avessimo ancora dubbi sul fatto che il lavoro in cucina sia stressante ed usurante, ormai ne abbiamo la certezza. E a ben guardare avevamo anche un altro dubbio, che si è dissipato con un altro “annuncio per disperazione” del maggio 2019 che si apriva con “cari camerati!”. Già.
Il tatuaggio con il fascio (e quello con la svastica)
E i camerati sono davvero cari a Paolo Cappuccio, nel caso rimanesse ancora qualche dubbio sul tema. A dimostrarlo c’è la sua foto profilo sul suo canale YouTube, dove mostra bene in evidenza un grande tatuaggio sull’avambraccio, con quello che sembra a tutti gli effetti un fascio littorio. Tatuaggio che è ben visibile anche nei video postati, e che insomma, lascia poco spazio all’immaginazione. O stiamo esagerando noi?
No perché in realtà, a ben guardare tra i suoi video social, esce fuori anche un altro tatuaggio interessante, con quella che sembra essere una svastica. Ma forse è un simbolo induista, e siamo noi a pensar male.
Paolo Cappuccio ha o non ha una stella Michelin?
“Sono Paolo Cappuccio, Chef Stella Michelin sempre alla ricerca di nuove esperienze e stimoli”, scrive lo chef Cappuccio sul suo sito. E, se è vero che ormai siamo abituati a utilizzare il termine “stellato” in maniera creativa e metaforica, anche solo per intendere un ristorante di fine dining, è altrettanto vero che le Stelle Michelin hanno delle regole, che i cuochi dovrebbero conoscere molto bene. E la prima di quelle regole è: le stelle sono dei ristoranti, non degli chef.
Gli chef non sono stellati, per quanto si utilizzi il termine (anche noi lo facciamo, talvolta) in modo colloquiale, per abbreviare una perifrasi e andare dritti al punto. Ma la regola è semplice: se lo chef va via da un ristorante, è al ristorante che resta la stella, non allo chef.
E Paolo Cappuccio è andato via da un po’ da quel ristorante – lo Stube Hermitage a Madonna di Campiglio – dove prese la stella nel 2009, e che ora è saldamente in mano al collega Gennaro Balice. Il ristorante ha ancora la stella, Paolo Cappuccio, come da regolamento, no. Eppure sul suo sito il macaron compare, e non solo graficamente.
Stellato o non stellato, comunista o fancazzista, una cosa è certa: Paolo Cappuccio ha un uso a dir poco creativo degli aggettivi.
I ristoranti che si dissociano
Anche i ristoranti che negli anni hanno lavorato con lo chef Paolo Cappuccio ora iniziano a dissociarsi da lui e dal suo post, visto che vengono chiamati in causa negli articoli che ripercorrono la sua carriera. In particolare il ristorante gardesano “La casa degli Spiriti”, con cui Cappuccio arrivò al 149esimo posto ai Best Chef Awards 2017, ha rilasciato un comunicato stampa.
“La Casa degli Spiriti si dissocia nella maniera più assoluta dalle recenti dichiarazioni dello chef Paolo Cappuccio inerenti il post condiviso pubblicamente circa la ricerca di nuovi membri per la sua brigata in un albergo in Trentino. Giudichiamo, come Casa degli Spiriti, queste affermazioni discriminatorie e inaccettabili, diametralmente opposte dai valori della nostra realtà, sia ieri che oggi”, hanno scritto dal ristorante. “Ci teniamo altresì a precisare che chef Paolo Cappuccio ha lavorato come executive chef nella nostra realtà oltre un decennio fa. La sua opinione è da ritenersi del tutto autonoma, estranea alla nostra attività e contraria alla nostra etica. La proprietà si dissocia da qualsiasi forma di discriminazione etnica, razziale, politica o sessuale. La Casa degli Spiriti, infatti, si fonda, fin dalla sua apertura 30 anni fa, su principi di inclusività, rispetto e accoglienza. Sempre validi sia nei confronti dello staff sia dei clienti. Crediamo nella libertà e nella dignità delle persone, senza alcuna distinzione”.