Il cambiamento climatico minaccia il 70% delle zone atte a viticoltura (e l’Italia è in prima fila)

Uno studio dell'Università di Bordeaux ha valutato l'impatto del cambiamento climatico sulla viticoltura: in molti territori la produzione rischia di diventare insostenibile.

Il cambiamento climatico minaccia il 70% delle zone atte a viticoltura (e l’Italia è in prima fila)

È difficile prevedere i connotati futuri del mondo del vino – un po’ perché il settore, numeri alla mano, ha da poco chiuso un’annata densa di segni rossi, complice la congiuntura economica sfavorevole che certamente riqualifica l’acquisto di una bottiglia da felice concessione a lusso rinunciabile; e un po’ perché, in termini forse ancora più dolorosamente pratici, è sempre più chiamato a confrontarsi con la volatilità del clima.

Che poi per carità, parliamoci chiaro: l’incognita climatica, per il vino così come per il mondo agricolo in termini più generali, è sempre esistita come legge silenziosa ma spietata e inappellabile – solo che, tra un evidente aumento delle temperature e il cappio della siccità che, salvo qualche tregua, continua a manifestarsi con ciclicità sempre più stretta, tale incognita si è fatta quanto mai pervasiva, radicale e soprattutto imprevedibile.

L’impatto del cambiamento climatico sul vino: un’occhiata ai numeri

siccità

Ci può essere utile, per farci un’idea più o meno concreta dell’impatto del cambiamento climatico in viticoltura, dare un’occhiata ai risultati di uno studio pubblicati sulla rivista Nature Reviews Earth & Environment da parte di un gruppo di ricercatori dell’Università di Bordeaux. I numeri, dimensione sempre affidabile, parlano chiaro: se le temperature globali dovessero aumentare di oltre due gradi entro la fine del secolo, fino al 70% delle attuali regioni produttrici di vino nel mondo diventerebbero inadeguate alla produzione di uva.

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Restringendo lo sguardo al nostro caro e vecchio Stivale, i rischi più importanti riguardano soprattutto le zone produttrici in pianura e lungo la costa, con il 90% delle aree attuali che rischiano di fatto di sparire. Ma concediamoci una breve retromarcia, prendendoci qualche riga per valutare l’impalcatura stessa dello studio: i ricercatori hanno messo a sistema oltre 200 articoli e studi in materia e poi suddiviso ciascun continente, considerando le relative aree di produzione vinicola, in macroregioni definite da particolari condizioni climatiche.

“Il cambiamento climatico sta influenzando la resa, la composizione e la qualità del vino dell’uva”, si legge nello studio. “Di conseguenza, la geografia della produzione vinicola sta cambiando”. La mole di tale cambiamento l’abbiamo già anticipata: lo studio stima che le regioni che rischiano di perdere l’idoneità alla viticoltura sono comprese tra il 49 e il 70%, con il 29% in particolare che potrebbe rimanere vittima di condizioni climatiche estreme.

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Esiste, come certamente avrete già intuito, la proverbiale “altra faccia della medaglia”. Sempre per effetto del riscaldamento globale si stima che dall’11% al 25% delle attuali regioni vinicole potrebbe sperimentare un aumento della produzione (lo Stato di Washington e la Francia settentrionale, tanto per fare un paio di esempi); o ancora, in zone come il Regno Unito meridionale, determinare un aumento netto dell’idoneità alla viticoltura.

Il primo passo per orientare la propria azione e “tamponare” quanto possibile l’impatto del cambiamento climatico è la piena consapevolezza dell’urgenza del problema. I produttori saranno poi chiamati ad adattarsi alle nuove condizioni cambiando il materiale vegetale, come varietà e portainnesti, i sistemi di allevamento e la gestione del vigneto, puntando allo stesso tempo sulla cura della permeabilità dei terreni e della ricchezza di microrganismi nei suoli.