Kenya, un ambientalista crea le “bombe” di semi per combattere la siccità

La siccità in Kenya viene combattuta con un'idea tanto efficace quanto simpatica: le cosiddette "bombe" di semi.

Kenya, un ambientalista crea le “bombe” di semi per combattere la siccità

Il Kenya non se la sta passando bene, non c’è ombra di dubbio. Il Paese dell’Africa orientale è alle prese con una delle peggiori siccità degli ultimi quarant’anni, con i pastori che si vedono costretti a vendere il proprio bestiame – animali tutti gomiti e costole talmente indeboliti da faticare a reggersi in piedi – per il proverbiale pugno di mosche. La spietata morsa della crisi idrica sta spingendo diversi Paesi africani (Somalia e Ciad in particolare) verso lo spaventoso baratro della carestia, e ciò che riesce a scampare alla furia del clima rimane schiacciato dai prezzi alimentari saliti alle stelle. In questo scenario allarmante le luci di speranza sono poche e declinate secondo la sensibilità e l’intelligenza dei singoli: è il caso di Teddy Kinyanjui, celebre ambientalista keniota, che ha messo a punto un’idea semplice ma efficace per contrastare l’aridità – le cosiddette “bombe” di semi.

Una risposta “esplosiva” alla siccità

siccità

Non potevamo resistere alla tentazione di fare un gioco di parole, ma a onore del vero le bombe di semi non hanno nulla a che vedere con i loro omonimi più esplosivi. Si tratta infatti di semplici palline composte superficialmente da carbone e contenenti un seme, nella maggior parte dei casi di acacia – una sorta di proiettile naturale e ricco di nutrienti che viene sparso sui terreni afflitti dalla crisi idrica lasciandolo cadere da un elicottero o, in alternativa, lanciandolo con una fionda. Sembra divertente, no?

Al di là della benvenuta componente ludica, le bombe di semi sono soprattutto funzionali ed efficaci: la sfera protettiva del carbone protegge il seme dal calore, dalla furia del sole e dalla fame (o dalla curiosità) degli uccelli, in modo che possa germogliare e nutrire il terreno arido. D’altronde, una singola bomba è in grado di resistere per ben due anni.

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L’idea, già di per sé virtuosa, attinge per di più a piene mani dal concetto dell’economia circolare: ogni giorno in quel di Nairobi, capitale del Kenya, vengono consumati circa 750 mila chilogrammi di carbone grezzo non lavorato, con il 15% di tale quantità costituito da polvere, particele fini e trucioli. Rifiuti, in altre parole – scarti che vengono recuperati e utilizzati per fabbricare le bombe di semi; una malizia del destino, un cerchio che va a chiudersi utilizzando del carbone recuperato per proteggere e poi nutrire i semi che andranno a “popolare” le stesse aree che, anni fa, furono deforestate creando la stessa polvere di carbone ora utilizzata nelle bombe.