La spesa per i generi alimentari in Europa varia enormemente da paese a paese, e per dare un’idea precisa di questi andamenti possiamo affidarci ai dati forniti da Eurostat, che ha da poco diffuso i numeri riguardanti il 2024 di 36 nazioni europee, non tutte membri dell’Unione Eurpoea, monitorate per definire l’indice del livello dei prezzi.
Il termine di confronto è quello di un “paniere alimentare standard” stabilito a 100 euro, un indice superiore a 100 indica che un paese è più caro della media europea, mentre una cifra inferiore a 100 ne indica la convenienza: facciamo quindi un breve viaggio tra i carrelli della spesa dell’UE, e vediamo come si piazza l’Italia.
La spesa più cara e la più conveniente d’Europa

Nel 2024, tra le 36 nazioni europee monitorate, la Macedonia del Nord risultava essere il paese più economico, dove il paniere alimentare costava 73 euro, posizionandosi il 27% al di sotto della media UE. All’interno dell’Unione Europea, la Romania (74,6€) detiene il livello di prezzo alimentare più basso, con costi inferiori del 25,4% rispetto alla media UE.
All’estremo opposto, la Svizzera è il paese più caro, dove i prezzi alimentari sono superiori del 61,1% rispetto alla media UE, con il paniere che costa 161,1€. Seguono altri paesi EFTA (European Free Trade Association) come l’Islanda (146,3€) e la Norvegia (130,6€). Nell’UE, il Lussemburgo (125,7€) registra il livello di prezzo più alto, superando la media UE del 25,7%.
Per quanto riguarda l’Italia, ci collochiamo leggermente al di sopra della media dell’Unione Europea, registrando un livello di prezzo di 104€. L’Italia e la Germania (102,9€) sono, tra i cosiddetti “Big Four” dell’UE, i due paesi in cui i prezzi alimentari superano la media continentale. In generale, l’Europa occidentale e i paesi nordici registrano prezzi alimentari più elevati, mentre l’Europa sudorientale e i Balcani occidentali presentano i prezzi più bassi.
Le cause di queste differenze sono molteplici. Alan Matthews, professore del Trinity College Dublin, ha spiegato che “La ragione più importante è la differenza nei redditi e nei salari”. Nei paesi con salari medi più elevati infatti, come la Danimarca e la Svizzera, i maggiori costi del lavoro nei settori agricolo, della trasformazione e della vendita al dettaglio vengono trasferiti ai consumatori.
Inoltre, Ilaria Benedetti, professoressa associata dell’Università della Tuscia, ha evidenziato il ruolo di fattori strutturali e di esposizione agli shock globali: “Le economie più piccole e più esposte – spesso con valute soggette a fluttuazioni più marcate – hanno sperimentato una più forte trasmissione dell’aumento dei costi energetici e degli input agricoli durante la pandemia e il conflitto Russia-Ucraina”.
Queste differenze nei prezzi sono cruciali perché il loro impatto sui bilanci familiari dipende dalla quota di spesa che le famiglie dedicano all’alimentazione. In media, nell’UE, il cibo rappresenta circa l’11,9% della spesa familiare, ma in paesi come la Romania tale percentuale può salire fino al 20%.
In diversi paesi dell’Europa orientale e sudorientale, la spesa alimentare supera il 20% della spesa familiare. Jeremiás Máté Balogh, professore associato dell’Università Corvinus di Budapest, ha sottolineato come l’onere sia sproporzionato per alcune fasce della popolazione: “Mentre i paesi ad alto reddito possono assorbire livelli di prezzo elevati, le famiglie a basso reddito nell’Europa centrale e orientale affrontano oneri sproporzionati, anche se i prezzi nominali degli alimentari sono più bassi”.


