Lidia Ravera fa diventare il Franciacorta un Prosecco: significa che il Prosecco ha vinto

Lidia Ravera ha Prosecchizzato il Franciacorta e il lapsus non è passato inosservato

Lidia Ravera fa diventare il Franciacorta un Prosecco: significa che il Prosecco ha vinto

Capita a tutti qualche lapsus. Questa volta è toccato a Lidia Ravera. La scrittrice e giornalista, autrice di libri come Porci con le ali, Piangi pure, L’amore che dura e Age Pride. Per liberarci dai pregiudizi sull’età, in un post su Facebook ha raccontato di quando è andata a parlare in Franciacorta a degli studenti. Solo che nel post ha scritto che “Sono andata a parlare in Franciacorta, capitale del mio prosecco preferito”. In diversi hanno notato quell’errore, fra cui anche Barbara Sgarzi, la quale a sua volta ha fatto un’interessante riflessione partendo da questa accidentale “Prosecchizzazione” (Accademia della Crusca, concedici questo neologismo: se hai sdoganato “petaloso”, anche “Prosecchizzazione” ha il suo perché) del Franciacorta.

La storia della “Prosecchizzazione” del Franciacorta

franciacorta prosecco

Come dicevamo tutto è iniziato quando Lidia Ravera ha scritto un post per raccontare di una giornata trascorsa insieme a degli studenti in Franciacorta, in cui ha riflettuto sulle vite degli altri, così differenti dalla sua, ma anche così simili. Il tutto complice una platea variegata: da diciassettenni ad anziani, tutti diversi fra loro. Una riflessione profonda in cui però qualcuno non ha potuto fare a meno di notare una cosa stonata.

Più precisamente quella frase in cui la giornalista e scrittrice dice di essere andata in Franciacorta, definita la “capitale del mio prosecco preferito”. Ecco, solo che il Franciacorta non è un Prosecco (se non siete avvezzi al mondo del vino è un po’ come dire che a Parma si produce il prosciutto di San Daniele).

Cosa che ha puntualmente fatto notare Barbara Sgarzi, giornalista ed esperta di comunicazione ed editoria digitale. Nonché sommelier. Sgarzi è partita da una segnalazione di un altro utente per far notare quel lapsus.

Lapsus che ha sua volta ha fatto scaturire un’altra riflessione. Sgarzi ha sottolineato un qualcosa in cui tutti i comunicatori prima o poi incappano, anche più volte: l’errore di pensare che alcune cose e fatti siano così arcinoti da non richiedere di essere ripetuti ancora una volta in quanto, nella mente dei comunicatori, sono dati così basilari che potrebbero risultare noiosi e ridondanti se ripetuti a oltranza in quanto ormai dovrebbero essere noti a tutti.

La lotta del “Prosecco” che vuole distinguersi dal Prosecco La lotta del “Prosecco” che vuole distinguersi dal Prosecco

Eppure come fa notare Sgarzi, a quanto pare di queste ripetizioni c’è ancora bisogno. E questo sia per quanto riguarda il settore della comunicazione digitale che quello del vino che, da sommelier, Sgarzi conosce molto bene.

Sgarzi ha esplicitato in maniera semplice ciò che accade tutti i giorni: a tanti piace bere vino, ma pochissimi sanno cosa hanno davvero nel bicchiere. E a volte capita anche a persone del calibro di Lidia Ravera, bravissima e apprezzata scrittrice che anche Sgarzi legge e stima, come da lei stessa dichiarato.

Il fatto è che qui non si parla di nozioni tecniche (ci può stare che uno non sappia magari a menadito i diversi metodi di produzione di un vino rispetto ad un altro), bensì di “informazioni basilari” che non rendono il bere il vino qualcosa di pedante e noioso, ma lo rendono qualcosa di ancora più interessante. E Sgarzi esorta poi tutti a continuare a raccontare e spiegare in quanto ce n’è sempre bisogno.

E conclude ironicamente facendo i complimenti a Prosecco che, grazie alla sua campagna di marketing, ha raggiunto la soglia della cosiddetta “volgarizzazione del marchio”, cioè quando il marchio viene usato per indicare anche altri prodotti analoghi, ma di brand diversi. In questo caso il Prosecco è diventato praticamente sinonimo di “vino frizzante italiano” (un po’ come successo, per esempio al marchio Borotalco: adesso qualsiasi polverina bianca similare viene definita impropriamente come “borotalco”, anche quando di altra marca).

Tant’è vero che se andate su siti di immagini free come Pixabay o Pexels e digitate “Prosecco” nella casella di ricerca ecco che magicamente compaiono foto del Franciacorta. Perché ormai, nell’immaginario collettivo, tutto ciò che è italiano e ha le bollicine automaticamente diventa un Prosecco.

Il che non è così visto che Prosecco e Franciacorta sono due prodotti totalmente diversi. Non esiste un Prosecco della Franciacorta perché si tratta di due vini del tutto differenti. Il Prosecco, infatti, è prodotto in Veneto e Friuli Venezia Giulia partendo dal vitigno glera, mentre il Franciacorta è prodotto nell’omonima zona in provincia di Brescia, in Lombardia. Anzi: il Franciacorta è uno dei tre vini italiani (gli altri due sono l’Asti e il Marsala) che possono usare l’indicazione senza dover aggiungere altri termini. Infatti il disciplinare vieta categoricamente di dire “spumante Franciacorta”, ma si dice solo Franciacorta (stessa cosa che succede, fra l’altro, per lo Champagne).

Ci sono poi tante altre differenze, a partire dal metodo di produzione (metodo Charmat-Martinotti per il Prosecco e metodo Classico per il Franciacorta) e terminando anche con il tempo di invecchiamento, breve per il Prosecco e lungo per il Franciacorta.

Il succo del discorso di Sgarzi è chiaro: repetita iuvant, perché la divulgazione è fatta anche di questo. E nei Commenti Sgarzi si chiede poi un’altra cosa, riferita a un follower che ricordava un lapsus analogo presente nel libro Le vigne di Angelica di Sveva Casati Modigliani, dove la scrittrice cita più volte lo “Champagne di Franciacorta” (niente, a quanto pare il destino del Franciacorta è di essere sempre scambiato per altre bollicine). Ebbene: Sgarzi ha ricordato che tutti gli scrittori, quando devono parlare di settori che non conoscono, si informano prima. Ma perché questo non succede con il vino?