Le meduse? Un gran bel problema, non c’è ombra di dubbio. Il Mediterraneo, complice il riscaldamento globale, ne è letteralmente invaso; e la comunità scientifica si è dunque attivata per risolvere il problema. La prima soluzione è forse la più semplice: ce le mangiamo. Ehi, cos’è quella faccia? Non fate i gastroboomer, dai: al momento il loro commercio è ancora vietato, ma nel Sud Est asiatico questi particolari animali sono consumati da secoli – tanto che il loro mercato, tra pesca e allevamento, vale più di 100 milioni di dollari. Prima di apparire come insolito ingrediente per accompagnare un piatto di spaghetti agli scogli, tuttavia, le meduse mediterranee dovranno essere registrate tra i novel food autorizzati dalla Ue (un po’ come è capitato poco fa alla farina di grillo): nel frattempo, un progetto europeo sta cercando degli altri potenziali impieghi – come l’utilizzo in agricoltura come fertilizzanti.
Meduse, il nuovo anello tra il campo e la tavola?
Ok, prima di proseguire un po’ di ordine: sappiamo che l’idea di trovarvi una medusa nel piatto è decisamente più interessante che saperla trasformata in fertilizzante. Ebbene, sappiate che in questo ambito la comunità scientifica è in grande fermento: l’Istituto di scienze delle produzioni alimentari (Ispa) del Cnr di Lecce, ad esempio, ha recentemente brevettato una tecnica che permette di lavorare le meduse in sicurezza e di ottenere prodotti come mousse e salse. Sembra divertente, no?
“C’è un grande interesse soprattutto tra gli chef, ma al momento nessuno ha chiesto all’Efsa la registrazione delle meduse tra i novel food” ha commentato a tal proposito Antonella Leone, prima ricercatrice dell’Ispa e responsabile per l’Italia del progetto finanziato dall’Unione europea GoJelly, il cui obiettivo è di trasformare le meduse da problema a risorsa. Un traguardo, quest’ultimo, che come vi abbiamo accennato può essere raggiunto passando per numerosissime strade.
Gli scienziati coinvolti nel progetto, ad esempio, hanno usato il muco prodotto dalle meduse per realizzare dei filtri in grado di ripulire le acque reflue dalle particelle di plastica; e il resto della loro biomassa come mangime per le attività di acquacoltura o per estrarvi del collagene. E gli scarti? Beh, non si butta via niente: proprio questi sono stati utilizzati per ottenere compost e fertilizzanti impiegabili in ambito agricolo.
Quando si dice due piccioni con una fava, eh? Una soluzione di questo tipo permetterebbe infatti sia di affrontare il problema dell’invasione del Mediterraneo da parte di questi organismi che di tamponare la crisi dei fertilizzanti innescata dal conflitto tra Russia e Ucraina.