Come facciamo noi del cibo a usare certe parole senza sentirci ridicoli

Professionisti e amanti del cibo usano spesso parole e modi dire francamente ridicoli, senza accorgersene. Un linguaggio che a forza di subire è diventato nostro. Ribelliamoci

Come facciamo noi del cibo a usare certe parole senza sentirci ridicoli

Identità del territorio. Eccellenza. Storytelling. Km 0. Certificazioni innovative. Tradizione rivisitata. Sostenibilità. Esclusività. Sapori di una volta. Gourmet. Influencing. Beverage.

Ovviamente la solita splendida cornice, capace di superare indenne mode e linguaggi sempre nuovi.

Non sarebbe il caso di darci tutti una regolata e accendere un minimo il cervello?

Siamo invasi da un vocabolario ampolloso e stucchevole: un esercito di parole sempre più vuote e vacue ci sommergono e ci condizionano.

Alcuni hanno il coraggio di usarle nelle conversazioni tra normali esseri umani senza sentirsi ridicoli, la maggior parte di noi invece le assorbe, anzi le subisce passivamente, come un vortice inesorabile. I più intolleranti provano a schernirle, ma in generale ne sottovalutiamo la problematicità.

Le consideriamo un male necessario, eppure sono dannose. Si insinuano, ci raccontano, denudano ogni forma d’identità di pensiero. L’altro giorno ho sentito una donna di 60 anni in metropolitana parlare di pane senza glutine “così la notte dormo tranquilla”.

Penso al vino, il mio amato vino, a quanto il suo linguaggio tronfio e ingessato lo abbia allontanato dalla tavola e dai piaceri della gente.

La parodia è facile, divertente e anche nazionalpopolare come quella celebre di Antonio Albanese, ma crea un baratro: non esiste più un linguaggio per raccontarlo che si posizioni sobriamente tra banalizzazione e professionismo. Mi ci scontro tutti giorni e ne esco spesso con le ossa rotte.

La mia casella di posta è invasa da comunicati stampa surreali, più o meno tutti identici, una valanga di termini accostati con sprezzo del pericolo.

Eppure la compilazione di un comunicato dovrebbe essere un lavoro giornalistico: dovrebbe informare, approfondire e incuriosire, non mettersi in competizione, a livello di piacevolezza, con un attacco di colite sotto la doccia.

A volte la centrifuga di termini è così satura da nascondere quasi il brivido del caos, dell’avanguardia, ma anche per la rivalutazione dell’indigesto siamo fuori tempo massimo, il post-modernismo è morto mentre iniziava.

Però Gmail ci vuole bene. Per questo ha organizzato una casella chiamata Promozioni che autogestisce. In un impeto di masochismo ci sono entrato. Attualmente contiene più di 2000 mail. Ne apro tre a caso e leggo (non modifico i maiuscoli e nemmeno le SS di hitleriana memoria):

1) Progetto Interregionale di Eccellenza “Promozione e valorizzazione dell’enogastronomia e della tipicità regionale come turismo esperienziale”.

2) DIANA SCATOZZA – Medico, Specialista in Scienza dell’Alimentazione, Farmacologia Clinica, Counselor – nell’incontro “DolceSsenza e SaleSsenza, beneSsere con gusto”, proporrà ai partecipanti il “DAL GUSTO test” e sulla base delle risposte offrirà un confronto e counseling alimentare personalizzato per stare bene con gusto. A seguire aperitivo con “smart” appetizer.

3) Nella splendida cornice di Palazzo Grassi, sede del Circolo degli Ufficiali dell’Esercito, a Bologna, alcuni dei prodotti di punta della gastronomia locale sono stati raccontati dalla viva voce dei loro creatori, veri artigiani e custodi della tradizione.

Vacillo.

Infine qualche giorno fa un fulmine a ciel sereno: mentre cercavo di decifrare “migliorare il proprio posizionamento nell’ambito dei prodotti free form”, intercetto in un pomeriggio tre comunicazioni che riportavano la dicitura Origin Green.

Di cosa stiamo parlando, cosa mi state vendendo? Davvero devo pensare che tutte le aziende della terra siano biologiche, sostenibili e animate dai pensieri più edificanti? O dovrei dire da una “esclusiva green mission”?

Forse è tempo che ci riguardiamo tutti Palombella rossa, perché gli sfoghi di Nanni Moretti saranno narcisisti quanto vi pare, ma rimangono un punto saldo della lettura dei tempi.