Gli sforzi globali per contrastare le attività di pesca illegale – o, se vogliamo seguire la denominazione ufficiale, la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata (per gli amici INN) – sono forti di una stretta d’intensità: l’Accordo sulle misure dello Stato di approdo (d’ora in avanti riassunto, per amore della semplicità, in PSMA) un accordo internazionale – il primo, a onore del vero – vincolante progettato appositamente per prevenire, scoraggiare ed eliminare queste operazioni illecite e introdotto nel giugno del 2016, può ora vantare ben 100 Stati membri.
La pesca illegale: un tumore silenzioso
La pesca illegale dovrebbe essere un problema sotto gli occhi di tutti: nelle ultime settimane vi raccontammo di come, secondo uno studio redatto dalla Financial Transparency Coalition (FTC), le pratiche di questo tipo stiano mettendo a repentaglio la salute degli ecosistemi marini e le economie dei Paesi in via di sviluppo, con oltre il 90% degli stock ittici mondiali in uno stato di sfruttamento acuto o, nel peggiore dei casi, addirittura esaurito. Dati, questi, che trovano una cupa risonanza anche nella dimensione ben più intima del “nostro” Mediterraneo, classificato come il bacino con il più alto tasso di sovra sfruttamento al mondo.
Il PMSA si inserisce in questo contesto come un accordo internazionale che mira a negare l’accesso e, più generalmente, l’utilizzo dei porti alle navi straniere sospettate di sostenere tali pratiche illecite. Stando ai più recenti rapporti redatti dalla FAO attualmente il 60% degli Stati di approdo a livello globale ha preso parte nell’impegno comune promosso dall’accordo – un dato che, secondo il Direttore Generale della FAO Qu Dongyu, è un sintomo inconfondibile di un “un ampio riconoscimento della necessità di intensificare la lotta contro la pesca INN”.
“È incoraggiante vedere più Stati sostenere la PSMA a sostegno degli obiettivi di sviluppo sostenibile” ha aggiunto a tal proposito Dongyu. Ora, è vero che sforzarsi di vedere il proverbiale bicchiere mezzo pieno è una pratica importante e decisamente preferibile alla sua alternativa, ma allo stesso tempo non possiamo fare altro che sottolineare come, di fatto, a livello globale un pesce su cinque provenga proprio dalla stessa pesca INN (un dato, questo, emesso dalla stessa FAO). Non guardateci così: non siamo guastafeste, ma semplicemente realisti.
“Dobbiamo lavorare insieme per intensificare i controlli portuali e un adeguato scambio di informazioni attraverso l’attuazione del PSMA” ha dichiarato in tal senso Manuel Barange, Direttore della Divisione Pesca e Acquacoltura della FAO. “Ciò contribuirà a trasformare i sistemi alimentari acquatici e a massimizzare il loro ruolo di motori dell’occupazione, della crescita economica, dello sviluppo sociale e della sostenibilità ambientale”.
E l’Italia come se la cava?
Non benissimo, purtroppo. Un po’ meno della metà (il 46%, a essere del tutto precisi) dei casi di pesca illegale segnalate dagli agenti delle forze dell’ordine o dalle stesse autorità di settore in tutta Europa avviene proprio nelle acque del nostro caro, vecchio Stivale; che di fatto può vantare la maglia nera nel contesto del Vecchio Continente.
Allo stesso tempo, tuttavia, è importante notare che l’Italia è l’unico Paese europeo in cui le unità di controllo del settore hanno attivamente fornito i dati utili per la realizzazione dell’Atlante per la pesca a strascico creato dalla Med Sea Alliance.