C’è chi potrebbe sostenere che la cattiva pubblicità non esista. C’è anche, però, chi potrebbe sentirsi amareggiato e decisamente innervosito nel vedere il proprio investimento sminuito a stereotipo: basti chiedere a Stefano Ricagno, presidente del Consorzio Asti DOCG, produzione piemontese che da cinque anni a questa parte è partner ufficiale delle ATP Finals.
Jannik Sinner trionfa, alza il trofeo ed è dunque doccia di bolle astigiane: un gesto che è rituale e simbolo e anche e soprattutto – nulla di male nell’ammetterlo – comunicazione di un brand. Quelle bolle non erano lì per caso, si è trattato di una scelta ponderata e strategica e mediatica. Se sui giornali però si legge di pioggia di Champagne, beh…
Le parole di Stefano Ricagno

Vinciamo in casa, dice Ricagno. Impossibile dargli torto – siamo a Torino, ha vinto un atleta italiano (l’atleta italiano, si potrebbe dire) e la consueta “doccia” consisteva con bollicine non solo italiane, ma piemontesi: più in casa di così non si può. Eppure c’è un ma: “Gli unici a rimanere con un po’ di amaro in bocca per il trionfo alle Nitto ATP Finals sono proprio le centinaia di produttori che, assieme al Consorzio, hanno investito sull’italianità come carta vincente” continua il presidente del Consorzio.
La dichiarazione di Ricagno ha trovato risonanza tanto nella stampa generalista che in quella di settore, da La Repubblica al Gambero Rosso: l’amarezza è palpabile, il fastidio comprensibile e francamente legittimo. L’effetto Champagne, un po’ come l’effetto Prosecco, vede il nome uscire dai suoi margini e definire l’intera categoria: ricordate quando Lidia Ravera disse di essere andata in Franciacorta, “patria del mio Prosecco preferito”?
La superficialità della stampa lascia intendere un’esterofilia che per qualche motivo compiace e ha sempre compiaciuto. La consolazione, per l’Asti, è che la cattiva pubblicità non esiste davvero, e che la vicenda ha assicurato una certa visibilità in agrodolce: articoli come questo ne sono la prova concreta. E poi suvvia, poteva comunque andare peggio: almeno non l’han chiamato Prosecco.
