Sanremo, tassa in gelateria per i pagamenti col bancomat, interviene la Finanza: è di un commercialista

Vi ricordate della gelateria di Sanremo che faceva pagare di più il cono se si pagava con bancomat? Ebbene, ora è finita sotto il mirino della Finanza.

Sanremo, tassa in gelateria per i pagamenti col bancomat, interviene la Finanza: è di un commercialista

A Sanremo una gelateria aveva esposto un cartello nel quale avvisava i clienti che avrebbe applicato una “tassa” di 50 centesimi a tutti coloro che avessero pagato il cono col bancomat. Risultato? Adesso sta indagando la Finanza.

Anzi: la gelateria è finita sotto il mirino della Finanza e del Garante della Concorrenza. A far salire alla ribalta il caso è stata una storia Instagram di Selvaggia Lucarelli. La particolarità di questa vicenda, che la fa spiccare in mezzo a tante altre storie similari (da quando per commercianti e professionisti è diventato obbligatorio il pos, o meglio, sono partite le sanzioni per chi non lo ha in quanto l’obbligatorietà era presente già da prima, ecco che cartelli del genere sono spuntati un po’ ovunque) è che uno dei due titolari della gelateria è un commercialista.

compagnia gelato sanremo

La gelatieria in questione è La compagnia del gelato, di proprietà di Marco Leuzzi, commercialista e di Paolo Martini. Il locale si trova in corso Matteotti, vicino al teatro Ariston. Dopo che il 30 giugno è entrato in vigore l‘obbligo del Pos per qualsiasi tipo di pagamento, ecco che i titolari avevano appeso un cartello nel quale avvisavano i clienti che “Il prezzo di vendita in pagamento tramite pos verrà aumentato di 50 centesimi”.

E sì che un commercialista dovrebbe sapere che tutto ciò è illegale. Tuttavia questo non ha fermato la gelateria e la sua decisione, oltre a scatenare il solito flame sui social, ha avuto come ovvio esito quello di allertare la Guardia di Finanza. I militari si sono presentati in gelateria e hanno compilato un verbale che è stato inviato pure al Garante della Concorrenza e del Mercato.

Nel frattempo i due titolari hanno cercato di spiegare al Secolo XIX il perché di questa scelta: i costi di transazione sono troppo alti