Partiamo dal presupposto che l’influenza aviaria è un problema. No, niente allarmismi: parliamo, piuttosto, di fatti e cronologia. Il mondo è reduce da due stagioni epidemiche di aviaria da record, riconosciute dalla comunità scientifica come le più gravi di sempre.
Il virus si diffonde, passa dai consueti pennuti ai mammiferi, uccide – per la prima volta – anche gli orsi polari. Fast forward all’inizio dell’anno in corso: negli Stati Uniti il latte crudo viene identificato come vettore, Donald Trump stacca la spina agli studi e si scopre un nuovo ceppo nelle mucche. A marzo la FAO chiede un’azione globale contro la diffusione “senza precedenti” del morbo. Sulle labbra della comunità scientifica appare la parola “pandemia”.
Difesa attraverso hashtag

In apertura di articolo abbiamo reso palese la nostra lontananza dagli allarmismi, e qui la ribadiamo. Il tema è che prevenire è meglio di curare, e che a onore del vero è da almeno un paio d’anni che gli esperti parlano di potenziale pandemia. Parola chiave potenziale, badate bene: il virus nostro protagonista dovrebbe sviluppare il contagio uomo a uomo. Ma se il Covid ci ha insegnato qualcosa…
Il salto di specie è già avvenuto, come abbiamo visto. L’H5N1 è in grado di mutazioni rapide e decise, e non è dunque improbabile che possa sviluppare la capacità di infettare e diffondersi attraverso gli esseri umani. I casi di contagio tra uomini non sono una novità, è vero, ma si è quasi sempre trattato di individui che lavoravano o vivevano a stretto contatto con pennuti (allevatori, contadini ecc). A novembre dello scorso anno è però rimasto infettato un ragazzo canadese che, con ogni probabilità, un allevamento intensivo non sa neanche com’è fatto. E ora?
C’è tensione. La FAO ha organizzato appena una manciata di giorni fa un incontro di respiro internazionale sul tema dell’influenza aviaria – il primo del suo genere, probabilmente già in ritardo sulla più ampia tabella di marcia. E ora l’EFSA e la Commissione europea hanno pubblicato un “pacchetto di strumenti di comunicazione” per sensibilizzare sulle pratiche di biosicurezza e contenere il pericolo di contagio. Insomma: combatteremo quella che può essere la prossima pandemia con degli hashtag.
Si chiama #NoBirdFlu, nome eloquentissimo. Nikolaus Kriz, direttore esecutivo dell’EFSA, l’ha presentato lasciando filtrare una certa aria di cameratismo: “la preparazione di oggi può prevenire le crisi di domani”, ha spiegato, ma a patto che “ognuno faccia la propria parte per prevenire nuovi focolai”.
Il pacchetto contiene le infografiche del caso, poster con tanto di promemoria visivi e addirittura adesivi destinati alla vetrina dei social “per raggiungere le comunità agricole e non solo”. Non fraintendeteci – ben venga l’informazione la prevenzione, valori fondamentali. Ma non vi fa sorridere l’idea che, dopo anni di allarmi, siamo riusciti a produrre poco più di un pacchetto di sticker?
