Supermercati: la plastica monouso per frutta e verdura sempre più diffusa

Nei supermercati la plastica monouso per frutta e verdura è sempre più diffusa, nonostante costi di più e nonostante i danni che la plastica crea all'ambiente.

Supermercati: la plastica monouso per frutta e verdura sempre più diffusa

Nei supermercati la plastica monouso per frutta e verdura è sempre più diffusa. E questo nonostante si parli ovunque del danno ambientale causato dalla plastica e dal fatto che l’utilizzo di queste plastiche costa molto di più, si stima un +43%. E’ PlasticsEurope a fornirci qualche dato in più: il 39,7% della domanda di plastica totale arriva dagli imballaggi, presenti soprattutto nel reparto dell’ortofrutta dei supermercati. E a questa percentuale non sfuggono neanche i cibi biologici.

Facendo un confronto con lo scorso hanno i consumatori hanno speso un 3,2% in più per le confezioni già pronte all’uso e il 4% in meno per i prodotti sfusi, senza imballaggi di plastica. Il che spiega perché molte aziende del settore non vogliano cambiare abitudini: sono i consumatori che per primi non vogliono acquistare i prodotti sfusi, ma bensì preferiscono quelli confezionati.

Per quanto si voglia tutelare l’ambiente è innegabile che i consumatori amino le confezioni di frutta e verdure già pronte: da una parte consentono di risparmiare tempo, dall’altra appaiono più sicure. Ma Greenpeace fa notare che a pagare questa comodità non è tanto il nostro portafoglio quanto l’ambiente.

Pietro Fiore, il responsabile del reparto Ortofrutta di Todis, ha spiegato a Il Fatto Quotidiano che anche se la maggior parte delle vendite si ha con i prodotti sfusi, è nel settore della merce confezionata che si è visto un aumento degli acquisti. E sia Pietro Fiore che Renata Pascarelli, direttore qualità Coop Italia, ritengono che ci siano due motivi principali per cui i consumatori non modificano le loro abitudini:

  1. acquistando prodotti già confezionati i clienti fanno la spesa più velocemente
  2. la frutta e la verdura già confezionate evitano manipolazioni altrui che provocano un più rapido deterioramento del prodotto e garantiscono una maggior igiene in quanto un prodotto già confezionato non può essere stato tastato da altre mani

Pascarelli ritiene che, però, la plastica non vada demonizzata. Al posto di cercare il plastic free a tutti i costi è meglio optare per i monomateriali o le bio-plastiche, più facili da riciclare. C’è anche da dire, poi, che la mini tassa sui sacchetti della spesa ha fatto sì che molti clienti preferissero scegliere i cibi già confezionati piuttosto che quelli sfusi con sacchetto addizionato di sovraprezzo.

Parecchie associazioni, oltre a Greenpeace, chiedono di eliminare gli imballaggi non indispensabili. Un fatto curioso, però, riguarda soprattutto i prodotti biologici, simbolo della sostenibilità ambientale, ma che vengono avvolti anche loro nella plastica, sostanza che contribuisce a danneggiare l’ambiente. Qui il problema sta nella necessità di certificazione e nel fare in modo che il consumatore possa distinguere facilmente fra un prodotto biologico e uno classico. La tendenza del futuro sarà quella di trovare sempre più cibi biologici sfusi nei supermercati, ma non tutte le aziende stanno lavorando con la stessa attenzione alla questione packaging.

Per esempio, Todis ha una linea con confezioni di carta, mentre Coop ha buste in bioplastica compostabile. Ma anche queste ultime a Greenpeace non piacciono: la bioplastica compostabile deriva da mais o canna da zucchero, quindi da agricoltura intensiva che ruba spazio alle foreste. E anche se sono definite “bioplastiche” non vuol dire che possono essere lasciate nell’ambiente: si biodegradano solamente se finiscono negli appositi impianti di compostaggio, altrimenti inquinano l’ambiente tanto quanto le altre.