L’eco-dilemma della mega trota: rimetterla in acqua o farne un maestoso barbecue?

Chi pesca lo sa: prendere una trota da 7 chili e 700 g per 93 cm di lunghezza con una cannetta da 2 metri e 70 è il massimo cui si possa ambire. La fortunata circostanza è capitata a Stefano Scaramellini, 48 anni, mentre pescava lungo le rive del fiume Mera a Samolaco, provincia di Sondrio, piena Valtellina. Quale destino attende la gigatrota? Sarà imbalsamata, così ha deciso il pescatore, e “la polpa congelata per essere cucinata”.

Possibile che una pesca così unica, pensate al patrimonio genetico di un esemplare tanto eccezionale, si concluda con un maestoso barbecue gastro-suburbano in cui tutti spilluzzicano il rarissimo pescione ucciso da un ruvido sosia di Ligabue?

Non abbiamo imparato niente dalla pratica anglosassone del “Catch & Relealse”, cioè pescare e dopo una foto ricordo, restituire la preda al suo ambiente naturale? Il sogno del bravo pescatore non è catturare un mastodonte del genere per poi rimetterlo in acqua sano e salvo?

Per par condicio vi porgo l’opinione opposta. Congelare la carne di un animale, anche se nella acque del Mera non si è mai pescato nulla di simile quanto a peso e lunghezza, è solo il metodo più agevole per cucinarla, condisci la carne senza troppo sporcare e come merita, ‘che dopo tanta fatica non vorrai venga stoppacciosa.

Peraltro, il rattoppo del pescatore sembra peggio del buco:

“Poteva avere 25 anni, forse anche 30, ho pensato di rimetterla in acqua. Poi ha prevalso il senso ecologico: questa bestia era un distruttore seriale”.

Ma Sant’Elmo dico io, protettore di tutti i pescatori, non diciamo enormità. Se un colosso del genere è riuscito a vivere tanto, significa che l’ecosistema del fiume glielo permetteva.

Allora chi è il vero distruttore seriale? Ma tu dimmi.

[Crediti | Link: Vaol, Repubblica Milano. Immagine: Repubblica Milano]