Perché i cavoli delle api sono anche cavoli nostri

A) L’ape italiana – detta anche ligustica – è un’ottima razza, che combina alti livelli di produzione di miele con una buona docilità. B) L’espressione “buona docilità” non va presa alla lettera. Andrea Bianco, quarta generazione di apicoltori nell’azienda Mario Bianco a Caluso, nel torinese, viene punto dalle 15 alle 20 volte al giorno. C) Secondo Andrea, il vero apicoltore non se ne va in giro tutto bardato come un tecnico nucleare, perché quell’armatura limiterebbe troppo i suoi movimenti: generalmente indossa soltanto una retina sul viso. D) Sempre secondo Andrea, 15-20 punture di api al giorno sono assolutamente gestibili per un essere umano, e non creano conseguenze di rilievo sulla salute. Non è una buona ragione per provare questo a casa. E) L’alveare è una sorta di dittatura perfetta in cui l’individuo non conta nulla e ad essere importante è la società. Le api operaie nate nel periodo della fioritura (ovvero il periodo a più alta intensità di lavoro) muoiono letteralmente di fatica: vivono per circa 40 giorni rispetto ai 4 mesi di vita media di un’ape nata in inverno. F) Le api coprono un raggio di circa 3 km dall’alveare, e nei suoi continui giri una singola ape può impollinare 700 fiori ogni giorno. Un piccolo aviario – diciamo 5 arnie – arriva a impollinare 70 milioni di fiori all’anno. Le api sono artefici dell’impollinazione dell’80% di tutte le piante al mondo. G) Einstein disse Einstein avrebbe detto che se le api morissero tutte, la razza umana si estinguerebbe nel giro di 4 anni.

Adesso non vorrei allarmarvi ma le api stanno, in effetti, morendo.

In Italia, in Europa e nel mondo, la popolazione di api si è ridotta bruscamente nel giro di alcuni anni – dal 30% al 50%, con punte dell’80%.

Sulle ragioni sono state avanzate molte ipotesi: da quelle millenariste in stile 2012 a altre che danno la colpa alle radiazioni dei telefoni cellulari. Andrea Bianco, e come lui l’Unaapi, l’Unione Nazionale Associazioni Apicoltori Italiani, la pensa diversamente. I principali responsabili sarebbero i pesticidi neonicotinoidi, prodotti dalle multinazionali della chimica Bayer, Basf e Syngenta.

I pesticidi sono usati per “conciare” – termine tecnico, non mi guardate così – il seme di mais, ma rendono la pianta tossica per le api lungo tutto il suo ciclo vitale: le peggiori morie si verificano al momento della semina, quando interi sciami muoiono nel passaggio sopra al campo, ma anche nei mesi successivi è sufficiente che un’ape si posi sulla pianta perché muoia nel giro di qualche minuto.

Il 2008 è stato un anno tragico per gli apicoltori, che per protestare contro l’utilizzo di questi pesticidi in campagna si sono incatenati di fronte al Parlamento: qui c’è il video della puntata di Malpelo, su La7. Hanno ottenuto così una moratoria sull’utilizzo di questi prodotti, che ha immediatamente portato risultati: l’anno successivo, al momento della semina del mais, agli alveari non è accaduto nulla – qui trovate la trascrizione della puntata di Report che ha seguito la vicenda. Nonostante la correlazione sembri provata, queste sostanze non sono state del tutto abolite, e ogni anno gli apicoltori aspettano con grande preoccupazione il rinnovo della moratoria: la prossima decisione è attesa per settembre, in vista delle semine di marzo 2011.

Eppure, nemmeno il bando totale di questi prodotti sarebbe in grado da solo di invertire la tendenza: i cambiamenti climatici, nuove patologie e parassiti, il progressivo impoverimento del paesaggio rurale e della varietà floreale continuano a minacciare le api. E insieme a loro, tutti noi.

[Fonti: YouTube, Usac, Independent, Unaapi, La7, Report, immagine: Luca Bot]