Com’è l’entrecôte in salsa segreta di La Rue a Milano: recensione del sogno d’ogni ristoratore

Siamo stati nel nuovo ristorante di Milano La Rue per provare la già celebre entrecôte con patatine e insalata d'apertura che, con una formula fissa da 35 euro, sfida il sarcasmo replicando fedelmente le tavole francesi. Ma non c'è niente da scherzare.

Com’è l’entrecôte in salsa segreta di La Rue a Milano: recensione del sogno d’ogni ristoratore

Se si decide di aprire un’attività in un’epoca così turbolenta della ristorazione moderna, bisogna avere le idee chiarissime: qualsiasi incertezza nelle scelte o incoerenza nel realizzarle si tradurranno in fallimento. La congiuntura economica non concede spazio a errori, e la percezione inconscia dei consumatori è ormai affilatissima, e li porterà altrove. Partendo da questi presupposti è evidente che è la concezione stessa del ristorante che deve cambiare per chi vuole fare imprenditoria nel settore: la propria offerta e il proprio piazzamento devono essere lampanti, così come il proprio pubblico di riferimento. Concetti di marketing abbastanza basilari, di quelli che i guru includono nell’e-book da scaricare gratuitamente per poi venderti il corso intero, ma che mai come oggi si rivelano fondamentali nel settore.

la rue esterno

Concetti che evidentemente non sfuggono ai fondatori di La Rue, ristorante milanese di recentissima apertura (nemmeno un mese), la cui “unique selling proposition” non potrebbe essere più chiara: “vendiamo solo entrecôte e patatine”. L’offerta è più esotica di quanto non sembri: in mezzo al fiorire di steak house con celle in cui lombate di ogni provenienza vengono spesso più mummificate che frollate, loro hanno optato per la scuola francese, steak et frites, scegliendo di ispirarsi alla sua più celebre istituzione: “Le Relais de l’Entrecote”, di cui La Rue è una riproposizione fedelissima, dal celebre menu dedicato esclusivamente a quel caposaldo della cucina dei bistrot transalpini, alle tonalità scarlatte dei muri e della livrea del personale in sala, con boiserie e accenti dorati a scaldare un po’ l’ambiente.

Per ora questo messaggio così semplice si sta rivelando efficace, complice anche l’astuzia nel non accettare prenotazioni e lasciare che si creino code, sapientemente scenografate con un cordolo del color porpora aziendale, una sorta di red carpet in cui gli avventori producono i loro contenuti social del ristorante: una macchina dell’hype che, finché dura, si auto-alimenta.

Insalatina e entrecôte: nessun errore nel gusto

la rue entrecote

Una cosa salta immediatamente al palato: chi ha sviluppato il menu ha sicuramente approfittato della stringatezza dell’offerta per fare i compiti a casa. A partire dall’obbligatoria insalatina d’entrata (preparatoria al palato? Ipocrisia salutista? Sicuramente coerente col format d’origine), in cui la vinaigrette è presente ma non troppo, la senape è riconoscibile ma non invadente, si riconoscono ricette tarate al millimetro per essere gustate in quantità copiose.

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Una mano equilibrata che ritroveremo anche nel piatto principale. D’altronde se offri un’unica opzione devi fare in modo che sia la più trasversale possibile e qui ci sono riusciti, come dimostra il lavoro sulla salsa: il beurre monté (emulsione di burro e acqua) ha la consistenza perfetta per velare appena la carne senza appesantire il boccone e permette di essere versata generosamente, parte integrante dell’esperienza.

la rue insalata

L’acidità c’è, la sapidità pure (acciuga?), c’è una nota di salamoia, forse capperi o pepe verde, piccantezza allilica, una caratterizzazione di dragoncello, tutto in perfetto equilibrio e mai urlato: l’obiettivo è essere golosa, non c’è una carne particolarmente intensa da equilibrare né secca da ungere, deve accompagnarvi al bis previsto dal menu e sempre nei 35 euro del pacchetto (comprensivo di acqua e coperto, oltreché di controfiletto di manzo e insalata) dandovi la sensazione di esservi fatti una gran magnata di carne e che di aver speso bene i vostri soldi.

Lo stesso vale per le patatine, che in teoria dovrebbero essere un contorno ma, viste le proporzioni del piatto sembrano esserne il pezzo forte: il taglio più fine delle “pommes allumettes” le mantiene croccanti, la frittura è impeccabilmente asciutta e i tuberi saporiti ma con salatura morigerata. Se ne mangerebbero due montagne, ed è esattamente la porzione che avrete e che spazzolerete senza problemi.

La Rue e le nuove frontiere del piatto signature

la rue milano

Non ci vuole un genio del management per capire perché avere un solo piatto nel menu sia il sogno proibito di ogni ristoratore: procedure, rapporti coi fornitori, costi, tutto ottimizzato al secondo e al centesimo, e il settore si sta rendendo sempre più conto che avere un piatto signature stia diventando sempre più importante. Certo, finora piatti così nascevano spontaneamente, dal basso, grazie all’allineamento dei pianeti: possiamo considerare la fettuccine Alfredo il signature primigenio, divenuto talmente celebre da essere stato riscoperto in Italia dopo aver fatto il giro del mondo, ma in tempi recenti Milano ne sta subendo il fascino.

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In principio fu il vitello tonnato di Trippa, reboot colto e tecnico che lo ha reso simbolo della cucina da nuova trattoria, per cui il furbissimo Diego Rossi è riuscito pure a creare un sequel con le tagliatelle burro e Parmigiano. Un tema, quello della pasta in bianco che ha creato un mostro, con la versione a 24€ proposta da Alberto Quadrio all’hotel Portrait di Milano, e che ha animato le chiacchiere gourmettare per qualche mese. Potremmo andare avanti all’infinito: ci si è messo pure Hemin Aziri al Procaccini, che ha pensato bene di far parlare di sé con una carbonara a 70 euro che è sicuramente riuscita nell’intento di creare bagarre mediatica.

la rue sala

Alcuni signature funzionano e restano, altri vanno e vengono, perché se vuoi davvero creare un piatto così certe malizie vengono percepite subito, ma è chiaro che rispetto a La Rue c’è una differenza fondamentale: riusciti o meno questi piatti-bandiera rientrano comunque in un menu più ampio, in un’offerta gastronomica tradizionale, non è il piatto singolo a fare il locale, perché se un’azienda mono-prodotto è super ottimizzata, pure la differenziazione può essere un pregio.

Stiamo quindi assistendo all’alba di una nuova era ristorativa in cui crisi economica generale e di settore, necessità di cambiamento, ricerca di nuovi format e intercettazione delle tendenze daranno vita ad attività simili? Guardandosi intorno gli indizi ci sono tutti, e se in questa nuova maison milanese abbiamo trovato anche un proposta concreta sul fronte gastronomico, va da sé che il diffondersi di locali che offriranno un singolo piatto aprirà un vaso di Pandora di food porn e idee strampalate, in cui il gimmick varrà più del gusto: forse sarà anche l’eventuale successo a lungo termine di La Rue a contribuire a questa evoluzione.