Perché la guida Espresso non dà più voti ai ristoranti

La guida dell'Espresso nell'edizione 2017 elimina i voti ai ristoranti e si affida soltanto ai giudizi. Ecco i motivi che hanno portato alla decisione

Perché la guida Espresso non dà più voti ai ristoranti

Abbasso i voti, viva i cappelli! Da chef, ovviamente.

Ogni tempo ha i cappelli che si merita, e se i nostri padri ambivano al tocco, il nero cappello dei neolaureati, le generazioni attuali sono invece più affascinate dal bianco cappello da chef.

Persino le più conosciute Guide gastronomiche si stanno adeguando a questo andazzo, e sostituendo gli ormai troppo austeri voti a favore di valutazioni a base di allegri copricapi da chef, considerati più consoni a un pubblico ormai incapace di esprimersi e interagire se non facendo ricorso a semplici simboli grafici a base di “like”, pollici alzati o versi, faccine sorridenti e “reazioni” varie.

Lettere, numeri e associazioni mentali complesse sono escluse dal nostro attuale panorama sociale e tutti, volenti o nolenti, ci dobbiamo abituare a questa nuova (dis)alfabetizzazione imperante.

E’ questo il caso della Guida Espresso edizione 2017 che uscirà nelle sua versione integrale nell’autunno 2017 ma che già nel consueto anticipo ferragostano inaugura la nuova valutazione in “cappelli” anziché nei desueti voti.

Svolta a dire il vero già anticipata alcuni anni fa, quando venne presa la decisione di eliminare i punteggi inferiori ai quattordici ventesimi e giustificata, afferma Enzo Vizzari, da anni curatore della Guida, dalla “difficoltà crescente di giudizi espressi in frazioni di punto su locali profondamente diversi e lontani per storia, cultura, dimensione, stile di cucina”.

E anche per “evitare l’eccessiva frammentazione nei punteggi, figlia, della crescita ulteriore della ristorazione”.

Per quanto non ci sia proprio chiarissimo il nesso logico per cui all’aumentare dei locali dovrebbe corrispondere una maggiore difficoltà di giudizio sereno esprimibile in voti da parte dei valutatori, è comunque immaginabile che giudicare anche un misero 1 per cento o poco più dei 200.000 locali del settore ristorativo presenti in Italia, comporti per i poveri degustatori uno sforzo notevole.

Sforzo più facilmente rappresentabile in cinque macrocategorie o “cappelli” piuttosto che in cavillosi numeri, per di più espressi in ventesimi.

Cappelli a parte, nell’anticipo della Guida sono menzionati ben 2700 locali, di cui 2000 con relativa sintetica descrizione e giudizio, tra cui troviamo alcune segnalazioni degne di nota.

Cuoca dell’Anno è Antonia Klugmann del ristorante ‘L’Argine a Vencò” di Dolegna del Collio, in territorio friulano: onore meritato per una delle più innovative e talentuose chef italiane, l’amante delle erbe che personalmente raccoglie ogni giorno per impreziosire i suoi  schietti piatti della tradizione.

Come novità dell’anno la Guida inserisce i colorati e curatissimi piatti di Nino Di Costanzo con il suo Danì Maison a Ischia, e il raffinato e rigoroso Lume, a Milano, guidato da Luigi Taglienti.

Il titolo di miglior maitre dell’anno va a Sokol Ndreko, già migliori sommeiller d’Italia 2015, e al Lux Lucis, ristorante dell’Hotel Principe di Forte dei Marmi, in provincia di Lucca, mentre il titolo di  più giovane e valente chef dell’anno va a Francesco Brutto e ai suoi 27 promettenti anni, alla guida del ristorante di Treviso “Undicesimo Vineria”, forte anche delle sue precedenti esperienze proprio con Antonia Klugmann e al Povero Diavolo di Torriana.

La Guida ha poi focalizzato l’attenzione su alcune tipologie di locali, a cominciare dal fenomeno delle trattorie urbane, relativamente novo, che grazie all’intesa con i piccoli produttori delle campagne circostanti riescono a proporre un prodotto di buona qualità con un servizio adeguato, così come sono stati presi considerati i locali “medi”, in genere di buon livello sia come cucina che come servizio ed ambientazione.

Ma particolare attenzione è stata riservata al settore “giovani” e al settore “pizzerie”: il primo riflette un fenomeno virtuoso che riguarda la passione di chef giovani e talentuosi che in questo periodo si affacciano con successo nel settore ristorativo o affinano la loro proposta, quali Lorenzo Cogo con il suo nuovo El Coq di Vicenza  (e di cui Dissapore aveva già parlato) o i bravi  fratelli Spadone con il loro accogliente  La bandiera, di Civitella Casanova, in provincia di Pescara.

Il secondo riguarda un settore che in Italia non conosce battute d’arresto, e che si è evoluto dal consueto cliché di ristorante alla mano e a poco prezzo grazie anche all’attività di innovazione e  ricerca da parte di  pizzaioli appassionati e alle loro proposte fatte di farine di grani antichi, lunghe lievitazioni e materie prime eccellenti.

Insomma, nella nuova Guida Espresso, un cappello non si nega a nessuno. Ma niente più  voti: abituati come siamo a faccine ed emoticons, i freddi numeri sembrano non garantire più l’audience di prima, e sono sostituiti con simboli più facilmente comprensibili a tutti noi, nuovi zotici telematici.

O forse, il reale motivo del cambiamento è un altro: farci dire il prima possibile “due cappelli dell’Espresso” con la stessa facilità con cui usiamo “due stelle Michelin”. Benché chef “cappellato” non abbia le stesse potenzialità di di chef “stellato”, anzi risulti non poco respingente.