In Israele i bignè incitano l’esercito a colpire duro Gaza

La glassa sugli eclair, in Israele, sta diventando un inquietante manifesto d'odio verso il popolo palestinese.

In Israele i bignè incitano l’esercito a colpire duro Gaza

Ci abbiamo riflettuto a lungo, per decidere se dare e commentare la notizia dei bignè israeliani che incitano l’esercito a colpire duramente Gaza. E non tanto per il dubbio che non ci competa, dato che siamo un sito gastronomico quindi leggero (se non hai fatto un salto a questo accostamento, finora hai vissuto sotto un sasso). Quanto perché il tema è letteralmente un campo minato, dove le menti più lucide non riescono a ragionare al netto di simpatie e tifoserie. Anche se, bisogna dirlo, ogni giorno è più chiaro che si sta compiendo un massacro con pochi precedenti: non lo vogliamo chiamare genocidio perché il termine dev’essere riservato a un solo evento nella storia dell’umanità, come se fosse sotto copyright? Benissimo, allora diciamo sterminio di massa, vi sentite più sollevati? Io no.

Di fronte a questo, allora si potrebbe sollevare un’obiezione uguale e contraria: ma come, di fronte a una tale tragedia, vi sembra il caso di sollevarvi per un aspetto tutto sommato marginale e innocuo quale la glassa su un’eclair? Ben altri sono i fatti gravi, certo: ma allora anche la storia dei due israeliani alla Taverna Santa Chiara di Napoli è un episodio marginale, eppure ha tenuto banco per giorni. A differenza di questo, i bignè guerrafondai non hanno avuto grossa rilevanza, almeno in Italia: la cosa è girata un po’ sui social ma poi stop. Per questo, ma non solo, riteniamo doveroso parlarne.

Le eclair che invitano l’esercito israeliano a “falciarli”

 

La notizia l’ha data Josie Glausiusz, giornalista di Haaretz – e viva la stampa indipendente israeliana, e viva gli israeliani non allineati al governo criminale. Nella sua cittadina, Modi’in-Maccabim-Re’ut, ha visto una panetteria che esponeva delle paste decorate in modo un po’ particolare, evidentemente in vista del giorno dell’indipendenza di Israele, il 14 maggio. Le eclair, dolci di forma allungata realizzati con la pasta choux e glassati, esponevano una bandiera israeliana retta da uno stuzzicadenti. E fin qui.

Ma sulla glassa, tracciata con una grafia incerta e quasi infantile, appariva la scritta “Che Tsahal li falci”. Tsahal, in inglese IDF, è il nome con cui viene indicato il complesso delle forze armate israeliane, esercito marina e aviazione. Insomma, spiega Glausiusz, è un po’ come se le paste dicessero ai soldati: ragazzi, colpite duro! Anzi, anzi. Contestualizza la giornalista: questo verbo che abbiamo tradotto come “falciare” richiama il “tagliare l’erba”, termine usato da più di dieci anni per indicare la strategia di logoramento attuata con vari mezzi nei confronti dei palestinesi. Con un’espressione dal significato simile in italiano potremmo dire “togliere la terra sotto i piedi”. Che poi è proprio quello che sta per succedere, stando agli ultimi piani approvati da Netanyahu.

Il fatto è che il cibo, al di là degli slogan che porta scritti su, sta diventando un punto centrale della situazione. Anzi, una vera e propria arma omicida, come e peggio delle bombe. Qualche giorno fa droni israeliani hanno attaccato una nave umanitaria che portava cibo a Gaza. E abbiamo dato la notizia della ONG di José Andrés che non può più preparare pasti a Gaza: per mancanza di materia prima: questi gli episodi clamorosi. Ma sono mesi se non anni che Israele ostacola in maniera lenta e indiretta i rifornimenti di generi alimentari nella striscia, di fatto affamando la popolazione. Oggi i bambini palestinesi campano con una pita al giorno, come riportano gli stessi giornalisti di Haaretz. Domani, se si attuerà il piano deciso dal governo israeliano che vuole ammassare tutta la popolazione di Gaza in un’area minuscola, sarà peggio: pasti forniti col contagocce e solo a determinate condizioni; un’elemosina, anzi una tortura.

Già è scandaloso vivere in un mondo che avrebbe risorse per tutti ma dove 733 milioni di persone soffrono la fame, per mera inerzia nei confronti delle disuguaglianze. Ma che il cibo venga tolto a un’intera popolazione, con il preciso intento di indurre sofferenza e morte, è la cosa più crudele che possiamo immaginare.