Recensione di Lokanda Devetak, tra le Dolomiti e il Carso: come si mangia dopo sette generazioni

Sul confine goriziano, a pochi chilometri dalla Slovenia, Lokanda Devetak è uno di quei luoghi per vale l'espressione "istituzione del territorio". La nostra recensione.

Recensione di Lokanda Devetak, tra le Dolomiti e il Carso: come si mangia dopo sette generazioni

Per arrivare alla Lokanda Devetak, ad una manciata di chilometri dal confine friulano con la Slovenia, bisogna seguire le indicazioni per Savogna d’Isonzo e poi per San Michele al Carso. Siamo in provincia di Gorizia e i nomi dei luoghi rimandano alla Prima Guerra Mondiale. Qui vennero combattute molte delle battaglie più cruente del conflitto (oggi debitamente documentate da cartelli e itinerari), in un territorio peraltro già aspro per sua stessa natura: grotte, paesaggi calcarei, carenza d’acqua e condizioni inadatte allo sfruttamento agricolo dei terreni hanno plasmato nel tempo non solo lo sviluppo produttivo della zona ma anche il carattere stesso delle genti, cui la vicinanza del confine ha inoltre conferito una natura profondamente diversa da quelle del resto del Friuli.

Qui, infine, non si capita per caso, ma si viene apposta. Ma ci si imbatterà, ve lo anticipiamo, in una  che cucina è specchio delle tradizioni locali, sia in termini di ingredienti che di radici gastronomiche.

La storia di Lokanda Devetak

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La data impressa sotto l’insegna di Devetak – 1870 – è ovviamente quella della sua nascita: ciò che non dice tuttavia è che da quella data la gostilna (trattoria, in sloveno) è sempre rimasta nelle mani della famiglia. Quella odierna è la settima generazione: in mezzo ci sono stati esilio, guerra, distruzione e ricostruzione, e una riapertura che negli anni ha portato l’osteria a diventare un ristorante vera istituzione del territorio, cui nel 2007 si è aggiunta l’ospitalità (con otto camere) e un’azienda agricola.

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Alla guida della locanda ci sono oggi Augustin Devetak e la moglie, insieme alle figlie. Se Augustin si occupa della sala e della cantina (monumentale: scavata nella pietra del Carso, rifinita a mano con lo scalpello, conta oltre 13.000 bottiglie con referenze che dal Friuli arrivano fino in Francia), a guidare la cucina è Gabriella. Brevissima parentesi aneddotica. Gabriella Cottali è di origini bresciane: quando sposa Augustin non conosce né dialetto né cucina locale.

Ad insegnarle tutto è la suocera (sulla cucina delle trattorie in mani femminili si sono scritte pagine e pagine, qui soprassediamo) mentre il resto lo fa il talento, che rilegge la cucina tradizionale in piatti che riescono a mantenere saldissima la loro identità guadagnandone in leggerezza e modernità. Lo scorso anno l’insegna ha ottenuto la stella verde Michelin e mentre sul futuro del prestigioso riconoscimento si attendono lumi, Devetak prosegue senza troppo clamore nel lavoro condotto sul territorio, la sostenibilità, la stagionalità e la valorizzazione dei prodotti locali: dell’azienda agricola s’è detto, il resto è il sostegno ai presidi Slow Food, su tutti il formadi frant, la pitina e il pestat di Fagagna.

L’ambiente

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Devetak è l’emblema della trattoria classica: gli interni ne rispettano tutti gli stilemi, dall’ingresso con bancone in legno, vaso di fiori, centrini e calendario, alle tre sale arredate in modo semplice, dai pavimenti in cotto alle pareti chiare con le travi di legno a vista ai mobili sobri. Non mancano quadri, immagini di famiglia, libri legati al territorio e persino il gruppetto di bottiglie di grappe e liquori che saluterà gli ospiti al termine del pranzo. Un angolo è dedicato anche ai prodotti locali da poter acquistare: conserve, succhi, marmellate, eccetera.

Il menu e i prezzi di Devetak

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Scorrere la carta significa compiere un vero viaggio gastronomico nel territorio, anche linguistico: il menu è in italiano, sloveno (oltre che in inglese) con ampie incursioni in friulano. Ingredienti e ricette rimandano alla tradizione e ad una cucina fatta di ingredienti poveri, di recupero, nobilitati non tanto da accostamenti preziosi – non avrebbe senso e non è quello che si vuole essere, in questo luogo – quanto piuttosto da cotture e riletture eleganti. 5-6 le proposte per sezione (antipasti 14-15 euro; primi piatti 15 euro; secondi piatti 15-20 euro; dolci 7-9 euro. Menu degustazione 6 portate a 60 euro) assolutamente coerenti. Da segnalare autentiche rarità come la šelinka (minestrone di sedano, patate e fagioli con l’osso del prosciutto, di origine slovena), la “supeta”, uno spezzatino di gallina qui preparato in tre consistenze, con i tagliolini alla farina di vinaccia di ribolla, le palacinke e il vasto campionario di dolci, che fanno storia a sé: dalla tradizionale gibanica slovena (con mele, ricotta, semi di papavero) al Tirime Su – Coppa Vetturino fino al kraško pecivo, dolce tipico carsico con uvetta e noci. Se della carta vini s’è detto, ben più interessante è trovare una carta di kombucha e di sidro.

Come si mangia

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Dalla carta, la scelta cade sulla lasagna di palacinke con funghi e besciamella alla zucca. L’idea è lodevole, ma temperatura di servizio (servita tiepida) e scarsa morbidezza del ripieno e della besciamella non riescono a restituire al piatto il valore che meriterebbe, soprattutto in termini di sapore. Analoga considerazione – anche per la temperatura – per lo “snidjeno testo” (gnocchi di pasta lievitata) al pestat di Fagagna (un impasto di lardo in cui sono conservate tritate carote, sedano, cipolla, oltre a salvia, rosmarino, aglio e prezzemolo, insaccato in un budello naturale e fatto stagionare) con crema di cipolle: sulla carta una ricetta golosissima e rappresentativa che tuttavia manca di incisività, con gli gnocchi che cedono in sofficità e vincono invece in secchezza.

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Va meglio con i fusi, luganighe (salsiccia) e formaggio Jamar, decisamente saporiti e corretti nel restituire il carattere di un piatto confortevole e dai gusti volutamente decisi. Correttamente eseguito il coniglio rosolato mentre al filetto di maiale alla senape, paprika e porcini si devono purtroppo riservare le stesse notazioni fatte sui primi: poca identità, con la senape semplicemente aggiunta in purezza a lato. Complessivamente non ci sono errori, i piatti sono eseguiti esattamente come presentati da menu, ma l’impressione è che una certa stanchezza abbia preso il sopravvento, penalizzando ricette dalla storia veramente unica.

Ed è un vero peccato, perché il finale si gioca su un’altra partita. Se infatti accade sovente che sui dolci, in trattoria, la cucina arrivi con il fiato un po’ corto, ripiegando su banalità nazional-popolari e prive di collegamento con il resto dei piatti, qui invece si trova la firma del Devetak di cui si è tanto letto e sulla quale si sono riversate alte aspettative: di ottima fattura sia il kraško pecivo servito (qui correttamente – sic – ) tiepido con un gelato alla cannella di bella persistenza al palato, sia il mattoncino al cioccolato e mele con confettura (di produzione propria), che vede un accostamento classico presentato con intelligenza, dimostrando un buon equilibrio tra golosità, freschezza e raffinatezza.

Complessivamente ci si accomiata con la sensazione di un’occasione mancata unita all’amaro in bocca per dei piatti ai quali sarebbe bastata poca cura in più per essere ottimi e rispettare l’indubbia eccellente reputazione. Voto: 7/10

Scontrino Devetak