Mercato Centrale, 10 anni e un tallone d’Achille: intervista a Umberto Montano

Umberto Montano, aka Mercato Centrale, fa il suo bilancio per i 10 anni delle food hall. E si fa togliere qualche sassolino dalla scarpa.

Mercato Centrale, 10 anni e un tallone d’Achille: intervista a Umberto Montano

Non vede errori, Umberto Montano, in 10 anni di Mercato Centrale. E quel che non è andato, o che potrebbe andare meglio, non è stato capito. Il patron delle food hall scarabocchiate rosso fuoco, l’altro Oscar Farinetti – che però delle sue creature ha mantenuto la proprietà, condivisa con il gruppo Human – è un imprenditore che si fatica a confutare ma che allo stesso tempo continuerà a farci parlare di sé senza noia.

Nei giorni dei grandi bilanci, i festeggiamenti per il decennale in corso, val la pena rimandare alla mente i numeri del progetto. Incontrovertibili, anch’essi, ché d’altronde valli a controllare: i 5 mercati costruiti dal 2014 danno lavoro a 1.400 addetti e segnano ogni anno un indotto di 15 milioni di visitatori. 60 milioni di persone, in dieci anni, hanno visitato Mercato Centrale tra Firenze, Milano, Torino, Roma e Campi Bisenzio (FI).

E la holding, quasi pronta a sconfinare, crescerà ancora. Quanto è vero che a Termini Mercato Centrale ci svolta il viaggio, smarcandoci dai tramezzini “Stellati” – si chiamano così – e dal rinunciabilissimo club sandwich di Carlo Cracco sul Frecciarossa. Perché se un bilancio dobbiamo farlo noi, esperti ed appassionati di gastronomia, quella di Mercato Centrale non è stata una rivoluzione ma una evoluzione la rappresenta di certo: un miglioramento, manifesto, dell’offerta in punti assai nevralgici di grandi città italiane. Là dove le “botteghe”, come si fanno chiamare le attività, gli street food, i negozi e i ristorantini ospitati dai Mercati, segnano tangibilmente il passo sulla proposta perdutamente mesta che caratterizza le stazioni.

E forse è proprio per l’assenza di questa netta dicotomia, tra ciò che c’è di buono e buonissimo dentro il Mercato e ciò che invece lo circonda, che tra le mega-strutture pensate e attuate da Montano quella di Torino è la meno fortunata in termini di fatturato. Insomma, ci siete mai andati al mercato dei contadini di Porta Palazzo, proprio lì accanto? A sentire l’imprenditore, però, non è questo il tema. Ma non vi voglio anticipare troppo dell’intervista che segue.

mercato centrale torino

Montano, facciamo il confronto con le aspettative di dieci anni fa, come è andata?

Mercato Centrale è esattamente come lo sognavo: uno spazio di diversificazione del progetto ristorativo che mi ha accompagnato tutta la vita. Il mio sogno era quello di costruire un sistema che non fosse mai stato concepito, e che ho basato su due pilastri: la sinergia e la sostenibilità. Un progetto che si oppone a un’Italia che non sa fare sistema, con una contrattualistica che permette imprese di partecipare, anche in piccolo modo, in maniera agevole.

Quali sono state le maggiori difficoltà nell’evoluzione del progetto?

Torino. E il problema non è il Mercato. Parliamo della città metropolitana meno metropolitana di quelle in cui siamo presenti. Firenze, pur essendo piccola, è un grande polo turistico. Torino offre una dimensione molto limitata, provinciale, poco legata al territorio circostante. Ma proprio perché il Mercato Centrale di Torino non è allineato agli altri è quello che mi porta ad impegnarmi e a offrire di più. Lo si può notare dal calendario degli eventi –  che decidiamo di veicolare lì – non è un caso se i festeggiamenti per il decennale si stanno svolgendo lì, ndr -, nonché dalla turnazione degli artigiani. Non mi fermerò fino a quando non lo vedrò cresciuto, benché io sappia che “vale”, in termini prettamente economici, un terzo degli altri Mercati. E sono felicissimo che si trovi dov’è, nel ventre della città. Mercato Centrale non è pensato per stare nel cuore delle città, e Porta Palazzo non è un punto di snodo, ma l’elemento più popolare del capoluogo.

Mercato Centrale Milano

Vero è che le botteghe appena entrate a far parte di Mercato Centrale Torino sono notevoli, ma la turnazione degli artigiani non è un fattore positivo per antonomasia. Per un nome che arriva, c’è uno che se n’è andato.

La domanda la pongo io? Il fatto che Alberto Marchetti – enorme nome del gelato artigianale, ma anche imprenditore di nota, ndr – se ne sia andato è un problema di Mercato Centrale o di Alberto Marchetti? Le nostre perdite sono coincise con il Covid e, al contempo, con l’uscita del bistrot de Il Cambio, il negozio di formaggi di Beppino Occelli e la gelateria. Constato che a meno di un anno dall’inaugurazione su Torino la pandemia ha spaventato qualcuno. Se nonostante il contratto stipulato vai via, vorrà dire che il terrificante dissesto me lo risolvo da solo. Chiariamo un punto: gli investimenti li fa Mercato Centrale. Se Marchetti ha messo su una gelateria senza comprare una carapina il posto più semplice da abbandonare, in un momento del genere e tra le sue attività, è quello in cui non ha investito.

Sia pur chiaro che gli artigiani hanno con noi un rapporto di pagamento su percentuale: durante le chiusure per emergenza sanitaria non hanno pagato un euro laddove non guadagnavano un euro. Siamo tornati a “volare” con 67 milioni di euro di fatturato e ora siamo tranquilli: il Covid è stato messo a budget, come gli affitti, che sono a carico nostro.

mercato centrale torino

E quanto costano gli affitti?

Faccio l’esempio di Roma e Milano: un milione e mezzo l’anno, per entrambe le sedi.

Cosa non ha ancora detto, o cosa non ha ancora fatto capire del suo “progetto”?

Quante volte sentiamo dire che il nostro Paese non sa fare sistema? Ebbene, questo progetto è nato esattamente con l’elemento sinergico come valore fondante. Dal presupposto che il fulcro della sostenibilità è il saper fare squadra.

 

Lei dice continuamente “artigiani”. E i suoi Mercati sono pieni zeppi di artigiani. Su alcuni settori però questo concetto è manchevole. Insomma il caffè, la birra. Quando berremo artigianale a Mercato Centrale?

Beh se per inserire la birra artigianale devo per forza avere a che fare con Teo Musso, allora la birra artigianale non è l’interlocutore ideale per me. Mi aveva lasciato immaginare grandi momenti di collaborazione, che poi non ci sono stati. Riconosco che Baladin è la birra buona per eccellenza, ma.. (Montano si riferisce al cocktail bar, aperto e chiuso in pochi mesi al primo piano della food hall torinese con Musso e Distillerie Quaglia, ndr).

Non è andata bene. Ma devo dirglielo, la birra artigianale non è solo Baladin da tempo.

A Torino sì. A Milano, per esempio, abbiamo la “birra cruda” con i tank dedicati al prodotto non pastorizzato. Ne sono fiero.

Quella è proprio birra crafty, l’industria che vuol sembrare artigianale. Suvvia di birrifici artigianali buoni e organizzati ce ne sono.

A Bolzano farò quello che non sono riuscito a fare Torino. Lì la birra artigianale ci sarà eccome. E non sarà una certo messa all’angolo, anzi, sarà protagonista.

Giusto, Bolzano. E Melbourne: i due nuovi Mercati. Quando aprono?

Melbourne a settembre 2024. Su Bolzano siamo all’opera e contiamo di inaugurare a primavera 2025.