Navigli deserti: restano capri espiatori e incertezze

Cosa resta della Movida sui Navigli del 7 maggio? Un capro espiatorio (un carretto di birra artigianale), un poliziotto e nessun altro. Ma cosa è andato storto?

Navigli deserti: restano capri espiatori e incertezze

In principio era De Luca, con i suoi lanciafiamme sui neo-laureati campani se mai si fossero azzardati a stappare una bottiglia per festeggiare in compagnia. Ma Vincenzo De Luca, oramai, è il Vittorio Feltri della politica italiana, i suoi moniti tragicomici non fanno testo. Quando però Beppe Sala “si incazza” per la movida sui Navigli (ieri e oggi deserti, per la cronaca, documentata) se la sta sul serio prendendo con il suo per lo più adulante pubblico cittadino. Cittadinanza con la quale intrattiene un noto rapporto idilliaco. Off-and-online, fatto di cuoricini e faccine che puntellano i commenti ai suoi video Instagram come primule colorate in un campo di inizio primavera.

Non succede quasi mai che l’unisono armonioso tra il primo cittadino e i suoi governati si incrini. E forse per questo la minaccia deve essere suonata particolarmente credibile. È per questo che i Navigli il giorno dopo l’ultimatum del primo cittadino di Milano erano davvero vuoti. Forse il motivo vero era proprio in quell’ultimatum, “non un penultimatum!”. Espressione che, mutatis mutandis, ricorda un po’ il “whatever it takes” di Draghi. Quelle 2-3 parole che centrano l’obiettivo come frecce d’acciaio.

Ha avuto effetto il non penultimatum di Beppe. Per la sua autevolezza, ma anche per la vagonata di polizia che il primo cittadino ha riversato in zona. A piedi, in moto, in macchina, sui cavalli alati. Quasi unica presenza sul Naviglio grande e sulla Darsena ieri venerdì 8 maggio intorno alle 7 di sera, insieme ai ciuffi dei microfoni e ai treppiedi delle camere da presa dei giornalisti.

Il capro espiatorio

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Ebbene, ieri non c’era quasi nessuno sui Navigli, la maggior parte dei locali era chiusa nonostante la vendita d’asporto fosse naturalmente ancora consentita.

E non c’era neanche il carretto di Pico Brew, capro espiatorio di questa vicenda se ce n’è uno. Beer firm milanese, Pico Brew ha riattivato il 7 maggio la “Pico Brew station”, carretto di vendita alla mescita di birre artigianali, con il rallentamento delle misure di sicurezza degli scorsi giorni. “Pinzata” da Repubblica, la stazione ambulante è diventata oggetto di discussione e titoli discutibili (“Anche una birra può uccidere“, scrive il Fatto Quotidiano), mentre il discorso si sposta su quando i grandangoli della stampa possano essere fuorvianti (e in realtà ci fosse meno ressa, sui Navigli).

Il settore della birra artigianale stesso punta il dito contro quei ragazzi, che volevano riprendere a lavorare nei limiti del consentito (forse, ci permettiamo di dire, con un briciolo di ingenuità), il un misto di rabbia, invidia (?!), trovando il suo capro espiatorio, si diceva.

Spiega, Pico Brew, che si è lavorato rispettando le norme, con i dispositivi di sicurezza indosso, spostando il carretto nei momento di clou, nel timore di creare i maledetti assembramenti. Ma non c’è pietà. Cosa dovrebbero fare gli altri locali? E’ forse un atteggiamento rispettoso verso chi ora non può lavorare, nelle stesse modalità? La guerra dei poveri, per dirla alla spiccia.

Raggiunti al telefono, mi spiegano che ora hanno cambiato zona, il carretto oggi cigola per ciottolati più tranquilli, fuori dal casino mediatico. Non mi dicono dove. Insisto una seconda volta: “Mollami”. Mollo.

Cosa non ha funzionato sui Navigli

Questa è una storia in cui ci perdono un po’ tutti. Ci perde il carretto di Pico, come vittima sacrificale di stampa, concorrenti, e in parte pubblico impazziti e rabbiosi. La legge generale pre-esistente consente la vendita d’asporto senza licenza per somministrazione e i nuovi regolamenti e decreti per l’emergenza sanitaria non entrano con questa in conflitto.

L’attività del carretto è stata a tutti gli effetti identica e assimilabile a qualunque altro locale “fisico” vendesse d’asporto nei paraggi. Non è compito dell’esercente vigilare sul divieto di assembramento o sull’uso obbligatorio delle mascherine. E questo è il motivo per cui ci perde anche, e di brutto, il pubblico. I consumatori. Testo alla mano, il decreto, in un certo slancio di adamantina disambiguazione, vieta non solo generici assembramenti, ma proprio di sostare nelle immediate vicinanze dei posti da asporto. In aggiunta, l’ordinanza regionale delle Lombardia impone l’uso della mascherina immediatamente fuori dall’uscio di casa. In più, è ancora necessaria l’autocertificazione che sicuramente tra i motivi di necessità non contempla la birretta ai navigli. Ricordiamo che la buona fede nell’interpretare una norma, è un principio della giurisprudenza e pertanto si è tenuti ad applicarla, se proprio non si vuole parlare di responsabilità e senso civico.

In questa storia ci perdono anche i locali dei Navigli, sotto la duplice veste di vittime e di persecutori. Come vittime, perché data la scomparsa del genere umano dopo la frustata del sindaco, molti hanno direttamente non riaperto, rinunciando così anche all’asporto. Ma anche come ciechi persecutori. Girano commenti per cui il carretto ruba clienti e sta generando odio e intolleranza. Ah si? Però poi quanti hanno le birre interessanti e artigianali ai navigli? Quanti della zona propongono un minimo di innovazione nel campo – nella sostanza ma anche nel modello? O si vuole solo i navigli la rocca intoccabile degli aperitivi pasta scotta al triplo sale e birra da supermercato venduta dieci volte tanto? #iorestoacasa . #iochiudoilpubcarretto.

Ci perde il settore della birra artigianale, piccolo mondo franco dalla bassa qualità media riscontrabile in Italia, triste protagonista delle ultime 48 ore, come se non fosse abbastanza vittima di questa pandemia, come se esistesse, scritto a chiare lettere, un regolamento per la somministrazione della birra da un carretto, in circostanze mai viste come queste.

Ci perde la stampa. Ammaccata dalla superficialità di sparare acriticamente la storia e le foto del carretto di Pico Brew dappertutto, senza prendersi la briga di capire pieghe e dettagli della vicenda.

Ci perde la politica, anche quella. Perché è vero che le leggi e i regolamenti sono sufficientemente chiari e disambigui. È anche vero che non necessariamente il cittadino in questo generale periodo di confusione esistenziale a tutto campo debba sentirsi in obbligo di consultare le fonti normative dirette, in mancanza di comunicazione politica adeguata.