Perché Domino’s Pizza chiude in Italia, e perché non lo ha detto

Alla chiusura quatta quatta segue il silenzio: Domino's Pizza va via dall'Italia e ne tace i motivi, nonostante la rassegna stampa delle ultime ore. Possiamo immaginarli?

Perché Domino’s Pizza chiude in Italia, e perché non lo ha detto

Domino’s Pizza in Italia ha chiuso: come ampiamente anticipato da Dissapore qualche giorno fa, la società che portava in franchising il celebre marchio statunitense ha cessato le operazioni in tutti i punti vendita sul suolo nazionale. Lasciando il mercato senza spiegazioni né annunci ufficiali, e senza risposta a richieste specifiche. Lasciando inoltre a bocca asciutta centinaia di clienti che ancora aspettano le ultime consegne, ma forse non lasciando stupefatti gli operatori del settore, per i quali Domino’s Italia era da tempo sinonimo di promesse non mantenute: se si pensa che i progetti erano quelli di aprire 880 punti e invece nel suo momento di massima espansione era arrivato ad appena a 29, dopo ben 5 anni. Insomma se non si può usare la parola flop in questo caso, non saprei in quale.

Le misure protettive del patrimonio, per evitare esecuzione coatta per i debiti non pagati e altre conseguenze peggiori tipo il fallimento, erano state chieste ad aprile dalla società ePizza e concesse dal Tribunale di Milano: queste misure della durata di 90 giorni sono scadute il 1 luglio, e non risultano dal Tribunale o dalla Camera di commercio ulteriori passi ufficiali, come riporta Boomberg e come avevamo notato anche noi nel precedente articolo datato 5 agosto. Non ci sono sostanziali novità rispetto ad allora – solo un ricorrersi dei siti principali a ripetere la stessa notizia, così funziona il giornalismo – e ci rimangono solo un paio di domande inevase – proprio come le ultime pizze.

Perché Domino’s Pizza non ha funzionato in Italia?

Domino's Pizza Italia

Già, perché una catena come Domino’s Pizza non ha avuto successo in Italia, in un momento in cui siamo tutti malati di comfort food e assuefatti alla comodità del delivery? Inspiegabile, in apparenza. Eppure siamo lì a sfondarci di sushi e poke (poco più che un’insalata di riso, nella maggior parte dei casi, solo pagata il triplo), eppure siamo tutti lì a riempire i McDonald’s e persino gli Starbucks (considerate che fino a qualche anno fa la catena di caffè non apriva in Italia per timore reverenziale verso il paese che ne aveva in certo modo ispirato l’idea). Eppure, venendo al cibo specifico, le vendite di pizza surgelata sono in costante aumento, così come la diffusione nei banchi dei supermercati e la moltiplicazione di tipologie e brand che si buttano su questa che non è propriamente una delizia gourmet.

Si possono avanzare delle ipotesi. Quella ufficiale, riportata dalla suddetta istanza di ePizza al Tribunale fallimentare, attribuisce la colpa alla pandemia: quando tutti hanno iniziato a fare delivery, chi era prima l’unico a praticarlo si è visto aumentare la concorrenza e togliere fette di mercato. Ma come avevamo già fatto notare, la spiegazione non regge: sia perché un certo vantaggio competitivo chi ha fatto da innovator dovrebbe averlo, e se invece non lo ha accumulato chiediamoci perché; sia per il fatto che notavamo all’inizio, e cioè che i numeri raccontano piuttosto la storia di un business mai decollato.

Sarà forse che noi italiani siamo superprovinciali da un lato, proni al colonialismo culturale, e superprovinciali dall’altro, campanilisti all’estremo quando si parla di pizza. Il nostro atteggiamento un po’ choosy anche quando si tratta di un comfort food come la pizza è cioè che differenzia l’Italia dagli Stati Uniti, e non sempre le conseguenze sono positive per noi. Poi c’è anche da dire che, Briatore a parte, la pizza in Italia è ancora un cibo economico, soprattutto nella versione base della margherita (e qui ci sarebbe da aprire un discorso a parte sulla strategia imprenditoriale dei pizzaioli che pur di tenere il “primo prezzo” basso vendono margherita e marinara sottocosto, e poi si rivalgono su tutto il resto con cifre sproporzionate appena si aggiunge mezza oliva; ma non è questa la sede giusta). Perciò quando si tratta di scegliere la porcata, tra quella di Giggino l’inzivato sotto casa che ti mette i carciofini del discount e ti fa bere tutta la notte, e il pezzotto americano che idem, la gente scusate preferisce l’originale. Né vale fare riferimento al boom delle pizze surgelate, ché lì entra in gioco una questione economica e di pigrizia, e forse anche di orari, essendo il congelatore a portata di mano in momenti in cui forse neanche il più schiavizzato dei pizzaioli o dei rider ti porta una pizza. Insomma come dice la pagina Italiana mad at food, Domino’s chiude, e noi fingiamo shock.

Perché Domino’s Italia non ha detto niente?

Domino's, pane all'aglio

Anche questo avevamo fatto subito notare: Domino’s se n’è andato dall’Italia alla chetichella, chiudendo i punti vendita un po’ alla volta, non rispondendo alle domande più imbarazzanti, e promettendo prossime riaperture a breve. Perché questo mistero? Perché ancora il 13 luglio postavano su Facebook un serenissimo invito a ordinare pizze, che veniva giustamente subissato di richieste di chiarimenti e insulti? Perché Domino’s non parla?

Avrebbero potuto rilasciare una dichiarazione ufficiale: quasi sempre quando una multinazionale lascia un paese lo fa. Arrivederci e grazie, e nessuno si offende. Magari si abbozza una spiegazione, avremmo accettato anche quella mezza palla della pandemia; oppure si ammette semplicemente che non siamo fatti l’uno per l’altra, come quando si prova a lasciarsi senza rancori. E invece nulla: non una dichiarazione sul sito, non un comunicato stampa, non un annuncio sui social. Alle richieste specifiche poi – le nostre come quelle dei colleghi di altre testate – nessuno risponde neanche in canali diretti: l’agenzia di comunicazione non lavora più per loro (ce ne sarà un’altra? Dubito); il social media manager non visualizza i DM (quando avranno smesso di pagarlo?); gli avvocati che hanno assistito la società nella predetta istanza non rispondono alle mail certificate (saranno in ferie, o non più in carica?).

Anche in questo caso, però, la cosa è inspiegabile solo in apparenza. Bisogna ricordare che il marchio Domino’s è in gestione tramite franchising a una società italiana che si era costituita appositamente per quello. Fallita, o non più operativa, la società ePizza, la sede centrale di Domino’s non ha nessun potere (e neanche interesse?) a rilasciare dichiarazioni ufficiali; mentre la suddetta ePizza probabilmente in questo momento è una barca vuota, un vascello fantasma. Ciononostante, non si fa così. E anche per questo, non ci mancherà.