Autarchia | Sapessi com’è strano piantare un orticello a Milano

Da qualche tempo, la città mi va stretta. Mi sento come il Marcovaldo di Calvino, oppresso dalla vita urbana, che si strugge per la lontananza dalla campagna, non può fare legna né raccogliere funghi, né allevare animali. Ricerco corsi sui fiori e sulle piante eduli (niente ai corsi del Tempo Libero patrocinati dal Comune di Milano, eppure c’è questo che francamente mi pare meno utile), mi ostino a dire che il mio cane ha un ottimo istinto allo scavo e sarebbe un perfetto cane da tartufi, e mi lamento a voce alta di non avere un posto dove allevare le galline.

Mentre in passato ho sempre considerato con benevola indulgenza gli zii che, prossimi alla pensione, allestivano un piccolo orto dietro casa e investivano di amore paterno ogni singola zucchina o cespo di lattuga, ora avverto con intensità crescente l’urgenza di tornare alla terra. Per fortuna è un percorso condiviso, il mio compagno ripete come un mantra che deve “piantare la vite” qua e là (tentativi svolti finora: 1. Tentativi conclusisi con il disseccamento istantaneo del ramo: 1).

A quanto pare non siamo i soli a sentire il richiamo della foresta: il Comune di Milano affida ai cittadini anziani che ne facciano richiesta piccoli lotti di terreno dove allestire un orto – e spesso sono poi gli entusiasti nipoti ad occuparsene –: sono in tutto 430 appezzamenti, altri 120 li concede A2A, altri ancora sono messi in affitto da privati. Poi ci sono gli ortisti abusivi e il Signor Chen è in assoluto il mio preferito, guardate qua:

oppure il guerrilla gardening, e gruppi di appassionati in rete che si scambiano idee e consigli per fare prosperare l’agricoltura urbana, come questi .

Okay, l’orto non è esattamente una rivoluzione, che c’è di nuovo? Un po’ lo scopo: risparmiare su frutta e verdura è solo uno degli elementi dell’equazione – tra affitto, materiali e tempo da dedicare, il risparmio tende ad assottigliarsi. Ci sono altre ragioni: la sensazione del controllo su ciò che si mangia, il piacere della manualità, la nostalgia di un’alimentazione meno imparentata con l’industria, la volontà di “contaminare” il cemento con il verde.

A prima vista, è un movimento che guarda indietro, a quando l’autoconsumo era un elemento fondamentale dell’economia. In effetti però molti dei movimenti sul cibo che ci hanno conquistato negli ultimi anni hanno un vago sapore “retrò” – Slow Food per prima. Forse il desiderio di autoprodurre può essere il passo ulteriore rispetto al cucinare da sé, mangiando cibi non industriali. Michael Pollan, che ha scritto i bellissimi “Il Dilemma dell’Onnivoro” e “In difesa del cibo” dice: “Mangia tutto il cibo spazzatura che desideri se lo hai cucinato tu” (Mi mettereste la ricetta per farsi il Bounty a casa nei commenti per favore?) e “Non mangiare niente che tua nonna non riconoscerebbe come cibo”.