Come riconoscere un’ottima colomba artigianale

Come si riconosce un’ottima colomba artigianale. A Pasqua spendete bene, ecco a cosa guardare prima di comprarla

Come riconoscere un’ottima colomba artigianale

Okay, l’idea che artigianale sia per forza sinonimo di buono è ingenua: i prodotti degli artigiani sono, per definizione, esposti all’errore. La differenza più evidente rispetto alla produzione industriale è la variabilità del risultato.

Ma artigianale, specie se parliamo di pasticceria, significa grande manualità, personalizzazione, materia prima pregiata e costosa, lunghi tempi di lavorazione: cose su cui l’industria tende a lesinare.

Come facciamo a riconoscere tutto questo? A cosa guardiamo prima di comprare, spendendo nel caso di panettone e colomba artigianali, due Everest del lievitato (per dimensione e perché farli bene è come scalare una montagna) tra i 25 e i 35 euro al chilo, di media?

Per rispondervi siamo andati ad Arzignano, in provincia di Vicenza, nel grande spazio Olivieri 1882, con pasticceria, laboratorio, gelateria, panificio e pizzeria.

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Perché proprio lì? Perché è dove i fratelli Olivieri realizzano i loro lievitati, compresa la colomba, nonché uno dei panettoni più interessanti della nostra classifica 2017 (nuova entrata al numero 19).

Eccovi allora le linee guida, raccolte in 5 punti essenziali, per riconoscere una colomba artigianale fatta come si deve, dalla lavorazione alla scelta degli ingredienti.

1. ETICHETTA

Il primo indizio di una colomba davvero artigianale sta in etichetta, la bella notizia è che non dobbiamo investire decine di euro a scatola chiusa.

È bene che la lista ingredienti sia corta e priva di conservanti, coloranti e aromi artificiali. Badate alla percentuale dei componenti e, se manca, all’ordine degli ingredienti, che devono essere elencati in base alla presenza nella ricetta.

Considerate che una colomba tradizionale deve, da disciplinare, contenere almeno il 4% di uova, e che il burro (costoso per il pasticciere) rende i dolci migliori, c’è poco da fare. La vanillina è un aroma ottenuto sia con metodo naturale che chimico, più sbrigativo, quindi meno costoso, di conseguenza molto diffuso.

Se artigianale, la colomba non va venduta oltre i 35 giorni dalla fine della produzione, con tanto di data impressa nell’etichetta esterna. Fateci sempre caso prima di spendere, anche perché, come abbiamo detto, i lievitati artigianali non contengono conservanti.

2. GLASSA

Dolce e croccante, la glassa arricchisce l’impasto per contrasto.

Non deve lesinare sulla frutta secca –che si tratti di mandorle o di nocciole, pistacchi o pinoli– principalmente per due motivi: arricchisce il dolce di profumi e, non per fare i conti in tasca al pasticciere, ma contribuisce a decretarne il food cost (il costo degli ingredienti, insomma).

Che sia uniforme, che non presenti grosse crepe è talmente scontato che non andrebbe neanche ricordato.

3. LIEVITAZIONE

Lievito madre al 100% e almeno 24 ore di maturazione dell’impasto, non si fanno sconti. Annoiati da questa storia, ripetuta come un mantra? Verificate a vista: la lievitazione incide sulla forma, esterna e interna, oltreché sulla digeribilità.

La colomba dovrebbe uscire dal pirottino che la contiene senza sformarsi, mantenendo le ali ben proporzionate. Più omogenea è la distribuzione dei buchi nella pasta –cioè gli alveoli– meglio è, come anche la loro dimensione. Se poi sono allungati in senso verticale è il massimo.

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C’è infine il dopo-assaggio. Solo una colomba realizzata con lievito madre vivo, sottoposta a una lunga lievitazione (quella in foto ha riposato 48 ore, per esempio) garantisce morbidezza prima e digeribilità poi.

Il motivo è facile da spiegare: la maturazione scompone gli elementi complessi in elementi semplici; più è lunga, meno lavoro tocca al nostro organismo per concludere la scomposizione, e di conseguenza la digestione.

4. PROFUMI

Va inseguito, più o meno, lo stesso obiettivo dell’etichetta: meno è meglio. Aromi artificiali e retrogusti sgradevoli sono cattivi indicatori.

Una buona colomba profuma di mandorla, arancia, burro, uova, vaniglia, se invece ricorda un pezzo di pane, o peggio, risulta artificiosa al naso, c’è qualcosa che non va.

Se profuma di preparato per torta o di vanillina in bustina, le probabilità di aver speso male il budget pasquale sono elevate.

Dopo l’assaggio, il palato non dovrebbe dare segni di affaticamento: il burro di una buona colomba non allappa.

5. COTTURA

La cottura è un’operazione delicata e decisiva per la riuscita della colomba, pronta quando raggiunge la temperatura di 94 gradi, misurati al cuore del lievitato.

E grazie tante, direte voi: la colomba a casa ci arriva fredda e salvo residui di pasta cruda, che speriamo non capitino mai, valutare una buona cottura non è facile.

Proviamo a dare un indizio: l’interno è soffice? Questa morbidezza è distribuita in modo uniforme? Se è così il pasticciere ha svolto un buon lavoro.

La difficoltà sta proprio nel mantenere il giusto livello di umidità a cottura raggiunta, evitando in ogni modo che la pasta sia secca e spugnosa.