Pasta: come sceglierla e decidere se è “di qualità”

Come scegliere la pasta e quali sono le caratteristiche di una pasta di qualità; come essiccazione lenta a bassa temperatura e trafilatura al bronzo incidono su gusto, prezzo, valori nutrizionali, consistenza e capacità di trattenere il sugo.

Pasta: come sceglierla e decidere se è “di qualità”

Quali caratteristiche pretendete dalla pasta che scegliete e perché proprio l’essiccazione lenta e a bassa temperatura? E della trafilatura al bronzo, che mi dite? Perché un prezzo maggiore dovrebbe essere sinonimo di maggiore qualità; cosa distingue veramente un processo di produzione industriale dalla lavorazione artigianale che a noi clienti costa in media 5 euro al chilo, rispetto all’euro e mezzo della pasta comune del supermercato?

Abbiamo discusso di pasta prodotta con grano italiano, specificando che questo fattore, da solo, non è sufficiente a garantire che la pasta che stiamo acquistando sia un prodotto di qualità (o meglio: che l’italianità non sia un fattore di per sé rilevante, se non in termini etici/economici, per definire in alcun modo la qualità del prodotto).

Al contrario, l’argomento che sostiene che il grano italiano “non sia di qualità sufficientemente alta” per la produzione di una pasta eccellente è stato per lungo tempo un cavallo di battaglia delle aziende che impiegano grani acquistati dall’Arizona, dall’Ucraina o dalla Turchia per giustificare le proprie scelte in fatto di approvvigionamento: questo quadro, che poteva essere parzialmente vero fino alle ultime propaggini della prima decade del millennio, è fortunatamente cambiato, in particolar modo nella seconda metà dei 2010.

Le coltivazioni di grano duro italiano hanno vissuto in questo periodo una forte espansione, tanto da superare per la prima volta nel 2017 il colosso Canada (con 4,7 milioni di tonnellate, contro le 4,3 del competitor), esprimendosi sovente in forme che consentono la trasformazione in paste secche d’alta qualità.

Ma già, cos’è la qualità, in termini di pasta? Vittime di decenni di lavaggio del cervello mediatico, riusciamo a pensare solo che debba essere sempre “al dente” ed esibire straordinarie tenute di cottura. Questi sono invece fattori superficiali, se vogliamo secondari, della qualità sensoriale del prodotto; che possono pertenere tanto alle produzioni artigianali trattate con delicatezza e figlie di materie prime eccellenti, quanto a produzioni industriali realizzate con metodi più “violenti”, che tramite questi espedienti riescono a sopperire all’impiego di ingredienti talvolta scadenti.

Sono invece altre le caratteristiche che dovremmo tenere in considerazione per stabilire come scegliere una pasta di qualità: ci arriveremo, ma spieghiamo prima brevemente come si produce la pasta secca.

Considerate il processo produttivo

Si parte dalla selezione delle semole di grano duro, ove i fattori decisivi per la qualità del prodotto finito siano il contenuto percentuale di proteine (che siano considerate idonee alla produzione di una pasta di qualità se uguali o superiori, quantomeno, al 12,5-13%) e il rapporto, all’interno dei granuli d’amido contenuti nel grano, tra le due componenti; amilosio e amilopectina.

La semola viene impastata con acqua calda (a circa 38-40ºC, in rapporto mediamente di 4:1) in impastatrici sottovuoto, per evitare il contatto con l’aria e l’ossidazione del composto. In questa fase, i granuli di amido presenti nella semola si idratano e si rigonfiano, le proteine si solubilizzano, in particolare gliadina e glutenina si ridispongono cominciando a formare il glutine. È un passaggio chiave, tenetelo a mente, ci tornerà utile più avanti.

La massa ottenuta è quindi compressa e spinta da una vite senza fine, o vitone, verso dei bocchettoni muniti di trafila: è passando attraverso questi che verrà estrusa diventando, a tutti gli effetti, pasta.

A seconda del materiale di cui sono rivestite le trafile (bronzo, teflon, o altri metalli come ad esempio l’oro) la superficie della pasta finita sarà più o meno ruvida e porosa; con effetti diretti sulla capacità di trattenere i sughi.

Dopo la trafilatura, i formati ottenuti saranno colpiti da un getto di calore che ne farà asciugare la superficie esterna per evitare che i singoli rigatoni o spaghetti si incollino gli uni gli altri (incartamento), e successivamente passati alla fase di essiccazione.

Questa è un momento critico, che più di ogni altro può influire sulla qualità del prodotto finito. L’essiccazione della pasta può essere svolta secondo tre distinte modalità:

  • Ciclo lento a bassa temperatura (anche detto LT, 24-72 ore, temperatura non superiore a 40-50°C);
  • Alta temperatura (HT, 8-10 ore, a temperatura non superiore a 75-80°C);
  • Altissima temperatura (UHT, 3-4 ore, temperature talvolta superiori ai 100°C).

Una volta essiccata, la pasta viene confezionata ed è pronta per la vendita.

Ma quali sono le caratteristiche sensoriali che determinano se un prodotto è, o non è, di qualità?

Consistenza

pasta artigianale, piatto

Ripartiamo da ciò che sappiamo: ci hanno insegnato che una pasta buona è una pasta “al dente”. Ma è davvero tutto qui? Il messaggio che è passato nel tempo è che la qualità della pasta significhi solamente poter mordere una penna rigata incontrando la resistenza della stessa contro gli incisivi.

Estendiamo e scavalchiamo questo concetto, ed analizziamo invece la sfera tattile del prodotto in esteso: chiaro, una pasta cotta al punto è ottima, ma vogliamo che sia dura o vetrificata? No, una pasta di qualità deve presentarsi elastica, resistente ma non tenace, gelatinosa al punto ma non collosa e cedevole.

A tal proposito sono due i fenomeni chimico-fisici che ci interessa osservare: la gelatinizzazione degli amidi, e la coagulazione delle proteine del glutine.

Per gelatinizzazione si intende una parziale solubilizzazione e disaggregazione dell’amido: questa avviene in presenza di acqua (umidità di almeno il 23%) tra i 60 e gli 80ºC.

La coagulazione delle proteine del glutine avviene invece a 70ºC.

Questi processi sono i “responsabili integrali” della consistenza della pasta: se la gelatinizzazione degli amidi è ciò che conferisce alla pasta le doti di elasticità e morbidezza, la quantità di glutine e le temperature a cui viene esposto sono ciò che consente che i granuli di amido idratati rimangano “intrappolati” nello spaghetto o nel pacchero.

Il glutine, coagulando, forma infatti un reticolo in grado di evitare che gli amidi fuoriescano dalla pasta in cottura; rendendola collosa quando non addirittura viscida.

La coagulazione del glutine avviene, come dicevamo, a 70ºC: se ne ha che il fenomeno avrà luogo durante l’essiccazione per la pasta trattata con metodo HT, solo durante la cottura per una pasta LT.

Dal punto di vista strettamente fisico-tecnologico, quindi, l’essiccazione ad alte temperature di stampo industriale sembrerebbe essere il procedimento ideale per ottenere una pasta dall’eccellente resa tattile: la precoagulazione assicurerebbe in cottura lo “spaghetto sempre al dente” tanto propugnato da mezzo secolo di pubblicità.

In realtà, quello di provvedere alla formazione del reticolo glutinico con essiccazioni veloci ad alte temperature è più uno stratagemma delle industrie adottato per mascherare l’utilizzo di semole di qualità mediocre che altro (il basso contenuto di glutine, se non pre-retificato in maglie, in cottura lascerebbe fuoriuscire gli amidi restituendo paste mollicce) – oltre che, ovviamente, un modo per abbattere i tempi ed i costi di lavorazione al fine di produrre di più, in meno tempo.

Cosa succede, invece, in cottura; ad una pasta essiccata a bassa temperatura? Succede che il glutine, pur se non coagulato già in fase di essiccazione, coagulerà durante la cottura in acqua bollente.

Il complesso proteico dovrà quindi essere presente in grandi quantità, al fine di sviluppare una maglia glutinica resistente e in grado di bloccare la fuoriuscita degli amidi che gelificheranno in maniera pressoché simultanea: per una pasta artigianale, essiccata a bassa temperatura, la materia prima dovrà necessariamente essere superlativa.

Indipendentemente dalla percentuale di proteine, però, la simultaneità dei fenomeni di gelificazione e coagulazione comporterà che una piccola frazione di amidi si disperda all’esterno della pasta. Questo, che potrebbe sembrare un difetto, rappresenta in realtà una risorsa preziosa in cucina: sarà infatti l’acqua di cottura, contenente una piccola frazione di amidi, che impiegheremo per mantecare la pasta insieme al sugo; ottenendo la “crema” tanto preziosa ai fini del piatto ultimato.

A questo è da aggiungere che gli amidi gelificati in essiccazione, nel caso di paste essiccate ad alta temperatura, raffreddandosi subiranno un processo di retrogradazione; ossia retrocederanno dalla fase colloidale raggiunta durante la gelatinizzazione a una nuova disposizione cristallizzata/vetrificata: questo avrà influssi negativi sulla consistenza della pasta, che risulterà dopo la cottura in acqua meno elastica di una essiccata con metodo tradizionale a bassa temperatura.

Infine, l’esposizione ad alte temperature potrebbe portare a disomogeneità di essiccazione tra la superficie esterna della pasta e l’anima interna: questo potrebbe dare luogo a fenomeni di bottatura, ossia alla formazione di venature che ne determinerebbero la rottura e lo spezzettamento.

La consistenza, però non è tutto: ci sono infatti altri elementi decisivi per la qualità della pasta, influenzati pesantemente anch’essi dai procedimenti produttivi impiegati.

Aspetto e gusto

Immaginate di prendere due pezzi di impasto: uno lo cuocerete in forno, l’altro lo lascerete essiccare dolcemente all’aria tiepida. Il primo si colorerà e si imbrunirà, caramellizzando, il secondo manterrà un colore chiaro e il profumo del cereale crudo.

Un ragionamento analogo si può applicare alla pasta: se un’essiccazione a temperatura alta o ultra-alta causa cambiamenti nel colore e negli aromi del prodotto, a causa della “tostatura” cui viene sottoposto quando non addirittura di vere e proprie reazioni di Maillard, un’essiccazione delicata a bassa temperatura preserverà il profilo sensoriale originario della materia prima, sia dal punto di vista visivo che da quello di profumi e gusto che risulteranno non sottoposti a quella che è, a tutti gli effetti, una sorta di “pre-cottura”.

Caratteristiche nutrizionali

Oltre alle caratteristiche strettamente sensoriali, anche dal punto di vista nutritivo l’essiccazione ha risvolti importanti: l’esposizione della pasta in essiccazione ad alte temperature riduce la biodisponibilità di lisina, amminoacido essenziale che vi è contenuto.

Per contro, questo viene preservato pressoché per intero nel caso di essiccazione a bassa temperatura.

Infine, per quanto riguarda gli amidi, la gelificazione e successiva retrogradazione che questi subiscono durante l’essiccazione HT restituiscono un prodotto di più difficile digestione rispetto a pasta lavorata in LT; durante la quale gli amidi non gelificano durante l’essiccazione ma in cottura, e non retrogradano venendo il prodotto consumato caldo.

Capacità di trattenere il sugo

 

Infine non legata all’essiccazione, ma alla trafilatura, è una caratteristica essenziale per gli utilizzi della pasta in cucina: quella della capacità di trattenere il sugo.

La trafilatura in bronzo, generalmente appartenente alla sfera delle lavorazioni tradizionali ma negli ultimi anni adottata in larga parte dalle linee premium dell’industria, restituirà infatti un prodotto rugoso; capace di avvinghiarsi ai condimenti e trattenerli ben ancorati alla propria superficie. Per contro, una pasta trafilata in teflon (come gran parte delle produzioni-base dell’industria alimentare) si presenterà completamente liscio, e lascerà scivolare il sugo.

Per quanto sia in teoria possibile ottenere paste di (media) qualità con essiccazioni veloci ad alta temperatura, è in genere improbabile che questo accada; dato che le essiccazioni HT e UHT vengono generalmente impiegate appositamente per ovviare al ridotto tenore proteico di semole da mediocri a scadenti; oltre che per produrre di più e più velocemente secondo un’ottica di massimizzazione dei profitti tipicamente industriale.

L’unico modo per essere certi di avere a che fare con un prodotto di qualità elevata, pertanto, è scegliere una pasta essiccata lentamente a bassa temperatura, trafilata al bronzo (per quanto non manchino paste eccellenti trafilate con altri materiali, come ad esempio l’oro: generalizzando diremo, “evitate il teflon”), che nasca da una materia prima straordinaria, ossia da una semola, magari – ma non per forza – italiana, ad alto contenuto di proteine.

Il prezzo

Comprenderete che un’essiccazione lenta e a bassa temperatura, tipica della produzione artigianale, comporterà costi più elevati di un’essiccazione HT o UHT, per via del maggior tempo di lavorazione per singolo lotto e della necessità di usare esclusivamente semole di altissima qualità. Di conseguenza il prezzo finale di una pasta artigianale,  in negozio, sarà più alto delle controparti industriali; con dislivelli percentuali anche notevoli. La resa sensoriale, però, vale bene la differenza: una volta provata una buona pasta, non tornerete più indietro!