
Permettetemi di usare il Buonappetito odierno per una cosa seria. Seria, bella e buona.
Venerdi 27 novembre a Torino “Freedhome” festeggia con un open day il proprio primo compleanno. Freedhome è un negozio di alimentari (prevalentemente), ma è diverso dagli altri: commercializza infatti esclusivamente prodotti realizzati nelle carceri italiane.
E’ un progetto unico in Italia per complessità e ambizioni (ci sono altri negozi a Milano, a Venezia, belli ma meno articolati) e deve la propria vita alla pervicacia di Gianluca Boggia di Extraliberi, l’associazione che lo conduce, di tutte le realtà che lavorano negli istituti del Paese, del garante per i diritti dei detenuti di Torino Monica Gallo.
Ma non starei a parlarvene qui se non ci fosse di mezzo del buono.
Il fatto è che in galera, soprattutto, si cuoce, si macina, si fermenta. E la stragrande maggioranza dei prodotti che si possono trovare radunati in questi scaffali –e singolarmente nelle varie zone d’Italia– sono alimentari. Birre, panettoni, biscotti, cioccolata, conserve, marmellate, oli…
Ci sono:
— i panettoni di Farina nel Sacco sfornati nella Casa circondariale Lorusso e Cotugno di Torino, squisiti (davvero, l’anno scorso alla cieca sono risultati tra i migliori);
— il caffè di Pausa Caffè che produce anche la birra nel carcere di Saluzzo;
— gli ottimi biscotti della Banda Biscotti del carcere di Verbania;
— i grissini e i panettoni di Buoni Dentro, realizzati all’Istituto Penitenziario Minorile Beccaria di Milano;
— i prodotti da forno Cotti in fragranza del minorile di Palermo;
— la pasticceria Giotto del carcere di Padova;
— la birra con canapa e orzo del Birrificio agricolo Guarnera nell’istituto penitenziario Barcaglione di Ancona;
— il pecorino delle colonie penali sarde;
— l’olio degli olivi gardesiani di Brescia;
— il Pastificio 1908 della Casa circondariale di Sondrio;
— le composte Men at Work di Rebibbia;
— le conserve Sol.co. di Cremona;
— la cioccolata Spes…
Poi ci sono tante altre cose belle oltre ai sapori: le magliette di Extraliberi, gli accessori di Sc’art!, le borse in PVC diventate assai celebri delle Malefatte (realizzate al carcere di Santa Maria Maggiore a Venezia), quelle di Made in Carcere, la carta Manolibera di Forlì, gli oggetti Artwo di Rebibbia, le bambole Pantagruel, le ceramiche Nisida, gli accessori Gulliver, la sartoria sociale di Palermo, i bijoux di S’Catenate.
Esistono almeno due motivi per pensare a tutti questi produttori in vista, anche, del Natale.
Il primo è sociale: un detenuto che lavora, quando esce ha molta più probabilità di tornare sulla retta via, con grande beneficio per tutti.
Il secondo è goloso: grazie alla collaborazione di tanti, grandi professionisti volenterosi, questi laboratori lavorano alla grande. E, spesso, i prodotti sono squisiti.
Comprandoli si fa una buona azione, ma soprattutto un’azione buona.
[Crediti | Immagini: Paolo Saglia]
Li consiglio tutti. Ottima qualità, ottimi progetti, ottime persone.
Non condivido il fatto che chi è in carcere possa guadagnare soldi. Dovrebbe già accontentarsi di avere vitto e alloggio pagato e, in casi come questo, acquisire delle competenze.
Altrettanto sbagliato è che chi esce dal carcere abbia dei canali privilegiati per trovare un lavoro. Un disoccupato onesto allora cosa dovrebbe fare? Delinquere per andare in carcere a farsi soldi e poi trovare lavoro all’uscita?
In sintesi: il guadagno di chi lavora in carcere rimane al carcere. Chi esce di galera va a cercare lavoro come tutti gli altri disperati.
Chi è d’accordo con me?
non io
Guarda, la spesa in carcere è 4 volte più costosa di quella fuori, e certamente non si vende caviale. Per avere un’esistenza dignitosa in carcere sei costretto a fare la spesa delle cose base, quindi dopo tempo che ti trovi recluso – perchè è così che succede, non ti danno certo un lavoro se sei dentro da un mese – è sicuramente positivo guadagnare quella miseria che guadagnano.
E poi forse ti sei allineato alla deriva manganello e olio di ricino che sta prendendo piede ultimamente, ma ti ricordo che in democrazia il carcere avrebbe funzione rieducativa e tutti i progetti che insegnano forme di integrazione sociale attiva sono conformi con lo scopo e devono essere incentivati. Altrimenti diventa un ghetto dove imparare “il mestiere” da criminali più scafati e dove si disimpara il concetto di socialità, e non credo che bisogni essere particolarmente libertari per capire che non è positivo per nessuno.
E forse non si rende conto dello stigma pesantissimo che portano le persone che sono state in carcere, non importa il tipo di reato. Un disoccupato ex-detenuto non ha praticamente possibilità di trovare un lavoro, e anche i pregiudicati mangiano e devono trovare un modo per mangiare in un modo o nell’altro… a casa mia il carcere non dovrebbe servire ad alimentare la delinquenza, ma col suo ragionamento parrebbe inevitabile.
Sticazzi: il carcere deve avere un meccanismo che funga da deterrente. Se quando delinquo so anche che in carcere potrò trovare un lavoro e guadagnare dei soldi, allora perché non delinquere?
Bisognerebbe rendere il carcere un’esperienza peggiore della libertà e non migliore. Purtroppo oggi in molti casi è migliore.
Ma gli utili di queste attivita’ vanno a RISARCIRE le vittime di queste persone ? Oggi tutti si preoccupano di NON toccare Caino, tanto Abele e’ morto e sepolto (e non vota piu’)
Vi prego: gardesani! Gardesani e non gardesiani.
E se non lo so io….