La grassofobia su Social Network e stampa

La nostra è una società che stigmatizza il grasso corporeo, ed è evidente soprattutto a giudicare da social network e stampa: cos'è la grassofobia.

La grassofobia su Social Network e stampa

Giunti al punto in cui siamo, bisogna guardare in faccia la realtà e ammettere che la grassofobia – atteggiamento manifesto di repulsione e ostilità che si ha nei confronti delle persone grasse – non è purtroppo un fenomeno passeggero e nato all’improvviso, bensì un pilastro della nostra società attuale. Da ex persona obesa, e bullizzata per questa ragione, ho a cuore l’argomento e ne seguo da mesi (anni) gli sviluppi: ecco le mie considerazioni oggettive, che toccano anche i social network e l’aumento dei disturbi alimentari.

“What I eat in a day”: da Tik toker a nutrizionisti il passo è breve “What I eat in a day”: da Tik toker a nutrizionisti il passo è breve

Non solo, la mia analisi è completata dal pensiero di Lara Lago, giornalista di SkyTG24 per la rubrica Caro Corpo e ideatrice della “Grassegna Stampa“, un progetto personale in cui denuncia la grassofobia a mezzo stampa: indice del fatto che c’è ancora moltissimo su cui lavorare, a partire da chi potrebbe facilmente fare la differenza. Cosa c’entra tutto questo discorso, qui, su Dissapore? C’entra perché il tipico atteggiamento grassofobico è attaccare immediatamente le abitudini alimentari della persona additata, presupponendole dal nulla. C’entra perché il legame tra benessere/cibo/peso/calorie non è mai stato così delicato e pericoloso come ora – almeno qui in Italia. C’entra perché ritengo sia stupido far finta di non vedere l’aumento vertiginoso di guru, diete, sedicenti nutrizionisti, personal trainer e fanatici che crescono indisturbati su Instagram e Tik Tok. Infine, c’entra perché abbiamo ogni giorno su molte pagine di giornali web e cartacei una retorica eroica nei confronti di chi perde peso, e di stigmatizzazione nei confronti di chi ingrassa.

Body positivity e grassofobia: facciamo chiarezza

Tra inclusività, body positivity e grassofobia si rischia di avere le idee un po’ confuse. Nell’ampissimo spettro dell’inclusività – una visione sociale che punta a non escludere più nessun canone estetico, indole, etnia, orientamento sessuale etc – c’è anche la body positivity. In troppi, ancora, pensano che la body positivity sia costringere chiunque ad apprezzare una persona grassa, mentre invece equivale a insegnare ad accettare (o meglio, normalizzare) qualsiasi caratteristica che non rientra nei canoni estetici più comuni e scontati. Si esercita la body positivity, quindi, se si hanno cicatrici, arti mancanti, psoriasi e – sì – anche magrezza e grassezza/obesità.

Purtroppo, però, cercare di comunicare il fatto che il termine “grasso” è solo un aggettivo descrittivo (come “alto”, “basso”, “moro”) e non il valore intellettivo di qualcuno, ha portato a un effetto sinistro: la grassofobia. Ovvero: chiunque si mostri facendo qualsiasi cosa, ed è in sovrappeso, è automaticamente un cattivo esempio da additare e su cui accanirsi.

La grassezza manifesta: cattivo esempio

Esistono tante dipendenze purtroppo: alcolismo, fumo, gioco d’azzardo, droghe, e anche il cibo. Tutte queste dipendenze hanno alla base una “debolezza” personale, il non riuscire (per millesettecento motivi che solamente un analista o psichiatra o psicologo può circoscrivere) a star bene senza quella cosa che ci fa stare male. Il fatto è che la dipendenza da cibo è l’unica che può essere letta addosso a chi ce l’ha: chi è dipendente dal cibo non può nasconderlo, perché adipe e dimensioni non si mascherano sotto un make up. Chi è grasso indossa ogni secondo la propria debolezza, la diffonde virulenta, “ecco il risultato della mia debolezza, lo vedi bene?”. E la debolezza di qualcuno è spesso una leva per far sentire superiore gli altri: “se io sono magro è merito della mia forza, se tu sei grasso è colpa della tua debolezza“.

Chi è grasso, in questa società terribile e nel favoloso mondo mediatico, ha scelto di esserlo ed è di conseguenza una persona inferiore, il cui valore più evidente è la debolezza. Se una persona grassa mostra su Tik Tok il nuovo outfit come infiniti coetanei fanno, non sta facendo solamente quello. No: sta dando il cattivo esempio, sta suggerendo che si può ingrassare perché tanto i vestiti si trovano lo stesso fino alla 64. Il fatto che non si nasconde o che non si autoflagella o si insulta da sola non significa che semplicemente vive come una persona normale. No: sta dando il cattivo esempio incentivando la grassezza, perché nessuno si può mostrare sereno se in sovrappeso. Il suo scopo è far ingrassare tutti i followers e tutti coloro che le passano accanto in strada, è ovvio.

Qual è, davvero, il cattivo esempio in tutto ciò: una persona come tante che fa cose come tante, o la repulsione immotivata con tanto di giudizio morale?

Il ruolo dei social network

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Le critiche al grasso o al magro ci sono sempre state“. Sicuramente, ma: 1) critica, opinione e insulto sono cose profondamente diverse e 2) tali critiche sono ora messe nero su bianco, indelebili, alla mercé del mondo-visione, sui social network e nella stampa. Chi non coglie ed etichetta la faccenda come una reazione esagerata e permalosa non ha capito davvero nulla.

Lo schermo dei cellulari è usato come vetrina, e nessuno obbliga nessuno a fare nulla: chi si espone, si presuppone lo faccia consapevole delle conseguenze, non può lamentarsi. Qui, ci si sbaglia: come si può essere in grado di prevedere tutte le conseguenze? E quali sono, esattamente, le conseguenze che una persona potrebbe (o dovrebbe) prevedere? L’odio immotivato e l’insulto sono una conseguenza prevedibile? E quindi bisogna preventivamente non esporsi? Certo, ecco le soluzioni: non mettersi più una gonna per andare a scuola così da evitare di provocare bollori adolescenziali (e di adulti), non farsi un video in costume da bagno e obesi per evitare che mi scrivano “balena” o includano nella “boiler summer cup“. Eh, no: non può più funzionare così dal momento che social network, libertà di espressione, egocentrismo e voyeurismo non cesseranno certo di esistere.

La “Grassegna stampa” di Lara Lago

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I Social network sono anche un luogo positivo e utile grazie a persone come Lara Lago, giornalista che lavora per SkyTG24 e che segue anche una rubrica personale sui propri canali (@lara_lake): la “Grassegna Stampa, la rassegna delle notizie grassofobiche”. Lei, in pratica, denuncia e spiega la grassofobia, scovando e condividendo articoli grassofobici. Nei propri canali, Lara raccoglie esempi malsani da qualunque giornale (da Vanity Fair, al Corriere, a Dagospia). Cita l’ossessione della stampa per il dimagrimento di Arisa e Noemi (e di molti altri), gli sfottò alla cantante Lizzo, le news su come la prova costume superata dia valore al vip.

Credit @lara_lake

L’ipocrisia nella scelta dei paladini per la causa

Credit @lara_lake

Quando ho chiesto a Lara quale fosse a suo parere la manifestazione più grave di grassofobia a mezzo stampa, lei mi ha spiazzata: quando si eleva a paladini della body positivity personaggi pubblici che non possono rappresentare i corpi non corformi (grassi/obesi). Mi ha fatto l’esempio di Vanessa Incontrada, di Chiara Ferragni post partum o di Belen Rodriguez che si mostra “con 4 kg in più in costume con una silhouette da vacanza“. La stampa, in questo modo, fa due gravi errori: il primo è lavarsi la coscienza affrontando l’argomento fat e body positivity prendendolo solo da lontano; il secondo è indurre la gente a considerare grasso/obeso/errore-da-correggere anche solo i 10 kg in più di una persona vip e già icona di bellezza, già privilegiata in società, peggiorando e falsando ulteriormente la percezione (e l’opinione) nei confronti di chi di chili in più ne ha 30-40-50. A questi ultimi si dedicano solo parole gravissime, come nel caso della cantante Lizzo – che realmente si espone per cambiare le cose:

Credit @lara_lake

Quando una persona grassa mangia sano o fa sport

Lara mi ha riportato una frase che mi ha colpita: “la salute è un diritto e non è un dovere“. Eppure, la persona grassa che si espone ha per chi guarda il dovere di soffrire un mea culpa. Dovrebbe mettere sempre dei titoli in sovrimpressione: sembro felice e spensierata ma non seguire l’esempio da mangiona pigra (e pericolosa per la società) quale sono. Un po’ come gli avvertimenti allarmistici sui pacchetti di sigarette, insomma: il mio grasso nuoce gravemente alla tua salute.

Proprio da questo concetto sono arrivati tantissimi contenuti, soprattutto dai social, sia negativi sia positivi. Tra i contenuti positivi, ci sono persone grasse che condividono un percorso salutare: c’è chi è a dieta e mostra i progressi, chi inizia ad andare in palestra, ed è per lanciare un messaggio appunto positivo. Il risultato? Insulti, ancora. Una persona grassa fa schifo se si mette i leggings per andare a correre, si vedono i rotoli, deve sforzarsi di più, una persona grassa non può fare vedere che mangia un pezzo di pane. Nemmeno quando l’intento è dare il buon esempio o mostrarsi forti e felici, il web e la stampa vogliono cogliere il messaggio.

La soluzione

Credit @lara_lake

La soluzione è “passare il microfono, creare spazio per loro, mettere piattaforme a disposizione. Si deve instillare nei ragazzi il culto dell’unicità“, sostiene Lara. Mi lancia quindi un messaggio volitivo e di speranza concreta per un futuro prossimo: non stiamo vincendo ma le cose possono cambiare, se si continuerà a lottare per dare voce all’unicità. “Se non ci fossero i social, si vedrebbe ancora meno gente grassa in giro e si sentirebbe ancora meno gente grassa parlare“, aggiunge Lara. Ad esempio, senza il rumore fatto finora non si sarebbe vista – probabilmente – gente in sovrappeso o grassa nelle pubblicità di prodotti comuni (gli assorbenti igienici, per esempio, o un’agenzia immobiliare). In più, anche la stampa può mettere in atto una soluzione: “fare in modo che dimagrimento e dieta non facciano più notizia“.

Considerazioni personali

Purtroppo, come ho detto anche a lei, ho molta difficoltà a essere ottimista sull’argomento. Perché sono troppo ferita. Il periodo della mia vita in cui stavo dando tutta me stessa per impostare una carriera lavorativa è anche quello in cui sono stata più discriminata per il peso. Cose come: “ma a Giallozafferano cosa fai, l’assaggiatrice ufficiale?“; “Eh certo, cosa puoi scrivere se non di cucina?“; “Ma scrivere di cibo non è una scusa per mangiare di più?”. Potrei riempire libri con esempi del genere, in cui il mio peso offuscava totalmente tutto il resto. E, quando accadeva, ero trentenne e con un certo polso per la situazione. Come potrebbero reagire una ragazzetta e un ragazzetto grassi, che si affacciano sul mondo del lavoro e si sentono dire dal capo “guarda che conterò le pause caffè eh” oppure “lasciane un po’ ai colleghi!” durante la pausa pranzo in mensa? Da dove potrebbero prendere la forza per incollare i pezzi, e riprendersi la dignità succhiata via da parole del genere? Lara mi ha risposto chiaramente e voglio fortemente credere che abbia ragione lei: che l’impegno e la costanza nel costruire una community online consapevole e preparata porterà anche, prima o poi, a una società consapevole e preparata.

Ultima cosa: l’oggettiva pericolosità di un corpo gravemente sovrappeso. Sì, l’obesità è una condizione medica pericolosa e che limita la vita sociale: io, ad esempio, non potevo sedermi in tutte le sedie, e facevo fatica a fare le scale. Tuttavia, questi sono affari di chi si porta addosso il peso, e di nessun altro. Il punto della questione è che chi è grasso o obeso può – pensate un po’ – vivere come una persona normale, fare shopping e tuffarsi in mare, essere forte come un drago, intelligente, essere degno di uno stipendio adeguato, essere di successo. Può anche essere eccezionale. Felice.