La via italiana al no-alcool potrebbe essere rappresentata più dalla birra che dal vino. La dichiarazione può sembrare provocatoria, ma analizzando la situazione è evidente come i segnali ci siano già tutti: da una gestione caotica della legislazione sul vino dealcolato, alle caratteristiche intrinseche del prodotto birra.
La storia del vino dealcolato in Italia non è partita benissimo, e una grossa parte di responsabilità ce l’ha il Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste Lollobrigida. La sua retorica della difesa del Made in Italy e del vino italiano da una demonizzazione da parte di fantomatici nemici esterni lo ha prima portato a un’opposizione categorica, poi a un sì ma “non chiamatelo vino”, e infine a un dietrofront. Un atteggiamento che ha messo i produttori italiani -già in crisi per i cali di consumi e con le cantine piene di bottiglie invendute, in cerca di nuove opportunità di business- in una posizione svantaggiata rispetto a Francia e Spagna, diventate leader di mercato mentre da noi si discuteva di semantica.
L’altro fronte su cui c’è ancora da lavorare è quello del prodotto in sé: i vini dealcolati stanno migliorando rapidamente, e gli assaggi fatti all’ultimo Vinitaly ne sono stati la prova, ma bollicine a parte, dove l’anidride carbonica riesce a restituire almeno un po’ della consistenza al palato persa eliminando l’alcool, i vini fermi restano deludenti al palato.
Sono criticità superabili con tempo e ricerca, ma che, per una volta, mettono la birra in una posizione avvantaggiata. Ne è sicuramente convinto Teo Musso, fondatore di Birra Baladin e tra i padri del movimento artigianale italiano, con cui abbiamo fatto una chiacchierata per capire quali siano i punti di forza e le prospettive per la birra analcolica italiana. Sua è una vera e propria linea dedicata alle birre alcoliche, e la visione da cui trarre spunto certo non gli manca, ma nel settore craft italiano ci sono diverse altre etichette da prendere ad esempio: su tutte la “Real Deal” di Eastside, la “Cazzo Guardi” di Brewfist e la “Fripa” di Birra Salento.
La via italiana al no-alcool

La birra analcolica, per quanto industriale, non è certo un’invenzione recente.
Musso: “dobbiamo partire dal presupposto che, sia nella percezione del consumatore che nell’effettiva ricerca e sperimentazione, la birra analcolica ha abbondantemente 30 anni di percorso. Questo è diametralmente opposto a quello quasi inesistente nel mondo del vino analcolico, che è anzi un tema per cui si è gridato quasi allo scandalo. Oggi poi siamo in uno scenario dove esistono anche il gin analcolico e gli amari analcolici, quindi quel percorso è possibile iniziarlo”.
Quali caratteristiche può sfruttare la birra analcolica per arrivare a un vero successo commerciale?
Musso: “è un percorso complicato che non si realizza con risultati spettacolari immediati. La birra, come tipologia di prodotto, ha maggiori possibilità di avvicinarsi al percepito di un prodotto alcolico tradizionale. Questo perché la birra per natura contiene sempre una parte di maltodestrine, residui e zuccheri complessi: elementi che, uniti alla parte amaricante dei luppoli o delle spezie, fanno parte del mondo normale della birra. Nel momento in cui si produce una birra analcolica, ci sono già degli elementi, come il residuo zuccherino, che fanno da spalla e mantengono quel gioco amaro-dolce. Nel vino, invece, a meno che non si parli di passiti o vini particolari, il residuo zuccherino è nullo o quasi, e manca la struttura, la “masticabilità” del prodotto. Questa struttura nasconde meglio la mancanza della componente alcolica“.
Parliamo di numeri. Quali sono le quote di mercato attuali e i segnali di cambiamento?
Musso: “non ho i numeri esatti, ma la percentuale in Italia si attesta attorno al 4-5% del mercato. C’è sicuramente una voglia di leggerezza. In Spagna, ad esempio, i livelli sono tra il 13% e il 14% delle quote di mercato, numeri veramente importanti. La birra in generale non perderà la sua natura, ma credo che fare birre analcoliche buone e originali possa toccare altre occasioni di consumo. A pranzo ad esempio, l’alternativa a una birra analcolica sarebbe acqua o una bibita”.
Il movimento craft e la birra analcolica

Quale dovrà essere il ruolo del movimento artigianale in questo percorso?
Musso: “il mondo della birra artigianale ha davanti a sé una sfida importante legata all’attenzione maniacale dei processi. Noi, ad esempio, siamo partiti con un progetto di ricerca chiamato Nutribev, già nel 2019, focalizzato anche sulla ricerca di un ceppo di lievito per microfermentazioni, volto a evitare il processo di dealcolazione. La nostra prima birra analcolica, realizzata nel 2023, è stata una scelta provocatoria: una birra con filiera certificata che utilizza cannabis sativa assieme ai luppoli. Abbiamo utilizzato una tecnologia molto avanzata, figlia del nostro progetto di ricerca, che è l’estrazione di oli essenziali a microonde. Questo permette di fare il dry hopping o dry spicing azzerando il rischio di contaminazioni. Dato che non pastorizziamo, dobbiamo avere la certezza che il prodotto sia perfettamente pulito”.
Ecco, la pastorizzazione è un punto cruciale per i craft: al momento Unionbirrai ha previsto delle deroghe sulla presenza del pastorizzatore nei birrifici solo per la produzione di birre senza alcool.
Musso: “sì. Oggi non è permesso mantenere la dicitura “birra artigianale” e pastorizzare. Penso che permettere la pastorizzazione delle birre analcoliche sarebbe un aiuto in questa direzione, amplierebbe il numero di birrifici che possono contribuire a dare colore a questo mondo. Alcuni stanno optando per birre a basso contenuto di alcool, ma scendere sotto i 3 o 3,5 gradi comporta problematiche sul prodotto che possono essere non banali, e la responsabilità è grande”.
Birra Baladin sta percependo un aumento di quote di mercato?
Musso: “assolutamente. L’anno scorso abbiamo prodotto poco meno di 50.000 bottiglie di analcolica. Quest’anno probabilmente chiuderemo l’anno con 6 o 7 volte tanto. Circa l’85% della nostra produzione analcolica va in Italia, ma stiamo vendendo anche all’estero. Penso che sia fondamentale far capire che è un prodotto naturale, che può essere molto buono e non distinguibile rispetto a una birra alcolica. Inoltre, nel nostro caso, una bottiglietta da 33 cl ha meno di 70 calorie, un altro tema non banale”.
Insomma, anche nella birra analcolica servono idee.
Musso: “il cambiamento che impone la tolleranza zero sulla patente per i giovani tra i 18 e i 21 anni ha avuto un impatto devastante, e ci dà il ruolo di dover fare prodotti nuovi. Questi prodotti devono mantenere il mood del consumo della birra come bevanda da pasto e da socializzazione, senza far sentire i giovani ‘non allineati’. Dobbiamo essere molto seri in quello che facciamo e mantenere la nostra natura di cercatori e ricercatori del gusto, gestendo bene gli equilibri”.

